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Le dimensioni della variazione sociolinguistica

2. Lingua e dialetto

2.4 Le dimensioni della variazione sociolinguistica

Sono almeno quattro le variabili che determinano la variazione di un sistema linguistico: il tempo, lo spazio, la società e le situazioni comunicative; a queste quattro, si aggiunge normalmente una quinta: il mezzo (Mioni, 1983, pp. 508-510).

A ciascuna di queste variabili corrispondono altrettante dimensioni di variazione:

 la dimensione diacronica (la lingua cambia nel tempo);

 la dimensione diatopica (che riguarda le varietà geografiche);

 la dimensione diastratica (le varietà relative agli strati sociali);

 la dimensione diafasica (le varietà situazionali);

 la dimensione diamesica (le varietà relative al mezzo usato, come per esempio parlato o scritto.) (Grassi et al., 2001, pp. 161-177)14.

Le variazioni diacroniche di un sistema linguistico sono quelle che si sono verificate attraverso il tempo.

La variazione diatopica riguarda l’origine spaziale, l’area geografica dei parlanti, per esempio come variano le differenze linguistiche tra città/campagna, centro/periferia e anche le varietà tra le regioni. L’uso dialettale è normalmente più frequente in campagna e in periferia che non nelle città, cosa che vale in tutta l’Italia, ma è noto che l’uso aumenta andando dal Nord verso il Sud, e le montagne hanno sempre diviso popoli e lingue. L’italiano parlato si chiama anche varietà regionale.

Un italiano che usa la sua lingua regionale rivelerà per lo più la sua origine attraverso caratteristiche di fonetica, intonazione, lessico e di sintassi e morfologia ricalcate sul dialetto dell’area. Un’indicazione essenziale di regionalità è appunto l’intonazione, elemento che svela l’origine di un parlante che non conosciamo. Sull’intonazione, però, non esistono studi sufficientemente approfonditi. Al giorno d’oggi, il parlato dei giovani in particolare manifesta scarsa presenza di tratti marcati regionalmente a causa dei fenomeni di standardizzazione, conseguenza delle mescolanze

14 Terminologia largamente diffusa nella sociolinguistica che originalmente risale dal linguista norvegese Leiv Flydal (Berruto, 1998, n. 4, p. 13). Per le dimensioni di variazione si rimanda anche a Berruto (1993; 1998, pp. 13-14; 2003, pp.

123-127) e Bazzanella (2005, pp. 31-39).

culturali dovute alle migrazioni, alla globalizzazione e alla massiccia diffusione di social network e social media (Gheno, 2019).

La variazione diastratica riguarda le differenze linguistiche relative allo strato sociale del parlante, e a variabili sociologiche quali età, sesso, professione, livello d’istruzione, classe sociale ecc. In gruppi distinti e ben riconoscibili della società, si sviluppano linguaggi particolari, come per esempio il linguaggio giovanile

caratterizzato dai gerghi e dallo slang e da innovazioni, oppure la lingua della classe operaia, o l’italiano popolare, “la varietà tipica dei parlanti poco colti” (Berruto, 1998, p. 25). Siria Guzzo (2014) a questo riguardo ha svolto un indagine sociolinguistica dell'inglese negli incontri di servizio, fornendo interessanti dati empirici sul comportamento linguistico di tre generazioni di operai italiani residenti a Bedford, Inghilterra. Ha scoperto che tendono ad adattare il loro linguaggio a quello dell'interlocutore ovvero cliente, usando una pronuncia nativa del lessico italiano quando si rivolgono ad altri italiani e la pronuncia inglese mentre si rivolgono agli inglesi. La variazione diastratica può essere vista come un asse verticale con al vertice le varietà alte impiegate dai parlanti colti che padroneggiano la lingua standard, e in basso le varietà che per lo più vengono usate dai parlanti incolti e che sono socialmente riprovate e senza prestigio e per questo possono essere fonte di discriminazione sociale (Berruto, 2010, p. 74). Poiché l’età e il sesso sono due fattori sociodemografici relazionati in modo particolarmente interessante con il

comportamento linguistico, analizzo in che modo l’uso del dialetto può variare in rapporto a queste variabili sociali.

I giovani sono i portatori delle innovazioni linguistiche e si sente spesso dire che i giovani d’oggi non conoscono il dialetto. Gli anziani, al contrario dei giovani, sono tradizionalmente i custodi del dialetto con scarso valore innovativo anche se non è sufficientemente studiata la loro lingua (Bazzanella, 2005, p. 38), mentre il

linguaggio giovanile, che tratterò a breve, è assai ben studiato anche in Italia (Banfi &

Sobrero, 1992; Radtke, 1993; D’Agostino, 2007; Alfonzetti, 2012).

Il pattern stereotipico rivela che le donne tendono più degli uomini a utilizzare una varietà standardizzata della lingua perché tradizionalmente questo era l’unico modo di avanzare nella scala sociale e quindi emanciparsi (Bourdieu & Thompson,

1991). Bazzanella (2005, p. 38) parla della sottomissione femminile che risulta in esitazioni e ripetizioni nella lingua, che però forse è più correlata al ruolo tradizionale che non al genere, come per esempio la segretaria femminile verso il direttore maschile oppure l’infermiera verso il medico. Berruto (2010, p. 116) rileva uno schema sociolinguistico simile: le donne sarebbero più sensibili allo standard e alle varietà di prestigio di quanto non lo siano gli uomini, prediligendo le varietà socialmente favorite, cioè alte, a scapito di quelle socialmente sfavorite, cioè basse.

Anche Labov e Trudgill giunsero ai medesimi risultati (Eckert, 1990, p. 219). In seguito all’indagine condotta da Peter Trudgill a Norwich (1972), le donne risultarono essere più conservatrici degli uomini, però tra i generi cambiava il significato di prestigio. Trudgill constatò che le donne rispondono più alle norme standardizzate di prestigio mentre gli uomini rispondono invece alle norme

vernacolari di prestigio. Cioè la norma del prestigio cambia da quella aperta associata alle qualità raffinate con il mercato cosmopolita e le sue varietà standard, a quella coperta associata alle qualità maschili e rozze. Gli uomini acquisivano così prestigio attraverso le forme associate alle varietà non standard segnalando solidarietà di gruppo anziché ottenere lo status sociale. Per loro quindi il linguaggio della classe operaia equivaleva al prestigio. Eckert (1990) cerca però di mostrare che è pericoloso etichettare la differenza tra uomini e donne generalizzando semplicemente che le donne sono linguisticamente più conservatrici degli uomini. Sottolinea che ha più a che fare con l’uso maggiore da parte delle donne di risorse simboliche per fondare appartenenza e status sociale. Le donne usano così strategie linguistiche per salire la scala sociale. Per quanto riguarda l’uso dialettale tendono a pensare che bisogna sapere la lingua per fare carriera, contemporaneamente negando ai propri bambini l’insegnamento del dialetto, il dialetto per loro può facilmente diventare segno di ignoranza. I maschi di tutte le età usano più il dialetto che non le femmine, il che può essere connesso a un legame tra certi dialetti soprattutto meridionali e degli aggettivi

appunto maschili e rozzi (Galli de’ Paratesi, 1984, pp. 135-136; Vecchio, 1990, p.

171; Alfonzetti, 2012, p. 41)15.

Spesso chi non ha potuto studiare usa il dialetto. Per questo uno che parla in dialetto può essere considerato ignorante o una persona di scarsa istruzione, in particolare se sbaglia il dominio d’uso del dialetto (cfr. le variazioni diafasiche). C’è comunque la tendenza all’aumento dell’uso dialettale nei ceti sociali più bassi della società. In conclusione, esaminando le variazioni diastratiche senza scivolare negli stereotipi, possiamo dire che il tipico parlante dialettofono in Italia lo troviamo tra gli uomini anziani senza istruzione abitanti nella campagna del Sud, mentre il tipico parlante italofono lo dobbiamo cercare tra le giovani studentesse abitanti in una città del Nord (Berruto, 2010, p. 112).

La variazione diafasica è una complessa dimensione che riguarda la formalità della situazione in cui si trova il parlante, cioè il registro o lo stile della lingua in relazione alla situazione interazionale. Questo stile o grado di formalità cambia non solo in relazione alla situazione ma anche a seconda dell’argomento e

dell’interlocutore. Può variare dallo stile più formale aulico, fino a diventare pomposo, ricercato, colto, medio, colloquiale, popolare, familiare e infine intimo (Grassi et al. 2001, pp. 161-162)16. Berruto (1993, pp. 75-84) distingue anche tra registro e sottocodice: il registro indica il grado di formalità, mentre il sottocodice è la lingua specializzata di un argomento particolare come per esempio la lingua della matematica o il linguaggio computeristico, oppure, appunto, il linguaggio giovanile.

I giovani si trovano per la maggior parte nei gradini più bassi di questa scala di formalità, almeno quando parlano tra di loro, usando spesso il gergo giovanile, cioè un registro molto informale caratterizzato da un tono scherzoso. Quando si rivolgono agli estranei o agli insegnanti in classe, il loro linguaggio diventa più formale forse fino al popolare/colloquiale/medio. Gli adolescenti hanno così una gamma di manifestazioni linguistiche che coprono una realtà tra una marcata assegnazione

15 Anche per i maschi sardi si sono trovate le stesse tendenze, cioè un legame con l’identità maschile che sembra rintracciarsi nell’uso del codice locale (Oppo & Perra, 2008, p. 170).

16 Per un continuum con dei gradini più elaborati, vedi Berruto (1993, p. 74).

diastratica nel parlato giovane gergale e allo stesso tempo una dimensione diafasica nel parlato colloquiale con ridotta marcatezza giovanilistica (Radtke, 1993, pp. 197-198).

La variazione diamesica è legata al mezzo della comunicazione, come la differenza tra la lingua parlata e quella scritta. Berruto (2010, p. 85) definisce questa dimensione come una sottodimensione della variazione diafasica perché il fattore principale che correla le due dimensioni sta nella situazione comunicativa, o nel canale fisico attraverso cui passa la comunicazione verbale. Forse è questa variazione che negli ultimi dieci anni ha portato la più grande novità alla lingua con tutti i nuovi mezzi che i social media hanno introdotto, come ad esempio Facebook, Messenger, Twitter, WhatsApp e Snapchat, oltre ai già stabiliti sms e e-mail, visto che tutti, a causa dello spazio ridotto a disposizione, richiedono una lingua chiara e precisa che spesso consiste in abbreviazioni fissate. Il linguaggio dei social media a sua volta può influire sulla lingua parlata soprattutto dei giovani che adoperano alcune

abbreviazioni anche quando parlano, come per esempio lol ‘laughing out loud’.17