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IDONEITÀ ALLA LEADERSHIP

4.3.2.4.4 Esclamazioni dialettali

Roberto è in classe con le amiche e cerca la foto di suo cuginetto per farla vedere a loro dopo aver raccontato che compirà due anni l’indomani.

19 – ROBERTO IN CLASSE CON AMICHE (2-0’20’’) 1. R: Domani il mio cuginetto fa il compleanno

2. Af: Uuuuuuuu [quanto fa?]

7. R: Aspetta che vi faccio vedere delle foto. È un amorittu! Sarebbe come te un po’ ponchiazzo*. {cicciottello}.

8. A: (ride)

9. R: è un (x) come te.

10. B: Anch’io lo voglio vedere!

11. R: (Sottovoce tra se e se): Devo caricare le batterie. Ma unni spàcchiu è (nome) scìmmia, dov’è (nome) scimmia oooh.

ECCOLO (NOME) SCÌMMIA! Vedi che beddu (nome) scìmmia!

12. A: Vediamo?

13. B: Maaa che tenero ma è un Caparezza!

14. R: (rivolgendosi ad altri): Me cuginu facc’ i mìnchia!* {Mio cugino faccia di minchia!}

15. A: Facc’ i idiota!

16. R: (…) Chi beddu!

Roberto usa i vezzeggiativi dialettali per descrivere il bambino come amorittu nel turno 7, e usa l’abbreviazione del suo nome in siciliano insieme al soprannome scìmmia per esprimere quanto è bello. Nel descriverlo come un po’ cicciotto e per questo paragonandolo a una delle sue amiche, usa un’italianizzazione della parola siciliana antica ponchiazzu ‘cicciottello’, dall’aggettivo pònchiu ‘grasso, obeso’ con il significato un po’più carino usando il diminutivo, però con la morfologia italiana finendo in –o (turno 7). Commuta poi in dialetto quando si rivolge agli altri a spiegare che stanno parlando del suo cuginetto nei turni 14-15. Nel turno 11 commuta tra i turni, passa in siciliano quando sta cercando la foto e grida che non la trova, usando la parola spàcchiu che frequentemente viene usato come intercalare in espressioni pronunciate con tono tra risentito e minaccioso (Piccitto & Tropea, 1977 – 2002 V, p.

102), spesso al posto di ‘mìnchia’ o ‘cazzo’. Contemporaneamente ripete i vezzeggiativi per nominare il bambino. Roberto usa sempre il dialetto per le espressioni di emozioni, per descrivere il cugino a cui vuole molto bene, o per soprannominare e per volgarismi rivolti agli amici (facc’i mìnchia in turno 14), rimane comunque sempre nella sfera intima tra pari, in cui il dialetto è accettato.

Spàcchiu come intercalare al posto di ‘mìnchia’ o ‘cazzo’ è frequentemente usato anche da Mirco e i suoi compagni, “Cchi spàcchiu m’interessa?!” (1-0’45’’);

“Che spàcchiu vuole?” (3-7’30’’), ma troviamo anche l’aggettivo spacchiùsu

‘borioso, vanaglorioso’ che nella maggior parte degli esempi del corpus significa

‘bellissimo’ o ‘molto bene’ (Piccitto & Tropea, 1977 – 2002 V, p. 103). Mirco e i compagni usano l’espressione più volte in pochi turni parlando di un compagno che si è dato talmente tante arie perché riesce a trovare delle ragazze. In questo caso usano la forma colloquiale spacchiàrsela per dire ‘tirarsela, darsi le arie’ nei turni 3 e 5, ma anche solo l’aggettivo spacchioso al posto di ‘bello’ o in questo caso ‘figo’ nel turno 3. In tutti questi casi il dialetto però è italianizzato:

20 – MIRCO E COMPAGNI (3-8’58’’)

1. M: Come non l’hai mai visto, guarda che è famoso è il fratello del DJ!

2. Af: Sì, ma non c’ho parlato mai, ci dovevo parlare ma poi non ci siamo incontrati!

3. Bm: È la tua stessa discussione, tu te la sei spacchiata così tanto che

alla fine le persone ci hanno creduto e le ragazze credendo che tu fossi uno spacchioso, [ti vengono appresso!]

4. Cm: [ti vengono appresso!]

5. B: È lo stesso discorso, lui se l’ha spacchiata praticamente così a ruota libera.

L’aggettivo spacchiùsu può anche essere usato al femminile, usato sia da maschi sia da femmine, come Silvia e l’amica in motorino quando passano davanti al porto e Silvia esclama: “Ma io non lo sapevo che esisteva questa nave così spacchiosa” (6-4’21”).

Daria al telefono con il fidanzato, parlando di poco e niente, a un certo punto fa la brava e gli dice di andare a studiare usando l’allocutivo dialettale beddu per incoraggiarlo nel turno 1, subito dopo usa l’ibridismo con il lessema dialettale di

‘lavorare’ travagghiari, però con la flessione italiana.

21 – DARIA AL TELEFONO CON IL FIDANZATO (6-3’10’’)

1. D: (...) Sì, penso che sono inclusi (…) Buh buh. Beddu, ora vai a travagghiare.

2. A: La domenica? Eh?

3. D: Sì! Ma oggi che fai?

4. A: Non lo so (x)

5. D: Bello! Anch’io vorrei fare=

6. A: Vero?

7. D: Ehe (…)

Gabriele ha registrato pochissimo, ma una conversazione efficace ed espressiva è avvenuta in classe durante l’interrogazione di un compagno B che si arrabbia quando scopre che lo stanno registrando e paragona Gabriele a dei turisti cinesi che fanno le foto a qualsiasi oggetto. La conversazione si svolge in italiano come naturale in classe, poi quando l’amico scopre che è in atto la registrazione, si agita e commuta in siciliano più volte, inserendo però solo singole parole ed espressioni in siciliano; la stessa cosa fa Gabriele che cerca di calmare la situazione dicendo al compagno che invece è lui che fa brutta figura. Le parti dialettali non sono ibridismi, sono parole con morfologia tutta siciliana in turno 7 e 10, possiamo immaginare che i maschi sono ben equilibrati nella loro competenza sia in siciliano sia in italiano.

22 – GABRIELE IN CLASSE (2-1’30’’) 1. G: Mi serve

2. Ins.: Cos’è?

3. G: Un registratore 4. Ins.: [A fare che?]

5. Am: [Mi stai] registrando mentre parlo?

(…)

6. G: Poi te lo spiego perché

7. A: È pèggiu dei cinisi, avete presente i cinesi chi fanno le fotografie 8. Ins.: (x)

9. A: E lo vuoi smettere di star registrando (x)

10. G: Perfetto, e la figura di catanisi che stai facennu in questo momento è pèggiu!

11. A: No, non lo sto facendo figure.

(gli altri ridono)

Nel turno 46 del primo esempio abbiamo visto Silvia e le ragazze usare l’espressione

‘ca cettu, un’idioma che meglio si traduca con ‘ma certo’, come affermazione, spesso anche ironicamente. La particella ‘ca, oppure ‘nca, non significa però ‘ma’, è una particella apparentemente senza un significato determinato che viene usata, come spesso si vede, con funzione espressiva.

4.3.2.4.5 Flagging

Il flagging sarebbe un cambiamento di codice in cui si ha un’esitazione o una pausa, un cambiamento nella voce o nel ritmo o tono, spesso come un commento o con un suono metalinguistico, e così si ferma il flusso della conversazione quasi in modo che l’alternanza di codice per se diventa il centro dell’attenzione e in nostri casi quasi tutti vanno in direzione dall’italiano al siciliano. Nell’esempio 23, Carlo e l’amica stanno finendo i compiti, ed è sempre Carlo che le incoraggia quando lei esita. Lui vuole studiare la Divina Commedia, ma lei sta facendo il latino:

23 – CARLO E AMICA SUI COMPITI CHE STANNO FINENDO (1- 20’12’’):

1. C: Ma è facile il latino! Dai, fattelo domani!

2. Rf: C’amu fari.* {che dobbiamo fare}

3. C: (Molto lento e chiaro): Ci-a potemu fa-ri.* {ce la possiamo fare}

Quando lei usa l’idioma c’amu fari lui risponde in modo staccato e recitativo: ci-a potemu fari, ‘ce la possiamo fare’, la conversazione fluente italiana viene

frammentata dall’espressione dialettale che commenta la loro situazione.

4.3.2.5 Le funzioni della commutazione di codice

Più interessante dell’analisi grammaticale delle commutazioni tra italiano e siciliano sono le varie funzioni che esse svolgono nel linguaggio dei giovani. Tutti i vari tipi di commutazione possono essere dotati di funzionalità comunicativa. Si vedrà che la commutazione interfrasale spesso viene usata per entrare in e uscire da un ruolo, citando il discorso diretto, oppure quando i giovani cambiano destinatario, o quando c’è un cambiamento di situazione o di argomento. Anche nelle ripetizioni enfatiche è frequente l’alternanza interfrasale. Quando la funzionalità dello switching è

solamente espressiva è invece più frequente la commutazione intra- o extrafrasale. In questi casi il dialetto viene tipicamente usato in stile simbolico, ludico o

emblematico, allora come singoli elementi in un contesto italiano, oppure come nel flagging quando il cambiamento di per sé diventa il focus della situazione,

comunicativa come abbiamo visto nell’ultimo esempio. L’uso del dialetto in questi casi può essere naturale, ma può anche essere di uso eccessivo, recitando perché gli adolescenti sanno che il dialetto è l’oggetto principale della ricerca, e perché vogliono soddisfare i ricercatori norvegesi che si interessano al loro dialetto. Perciò è

necessario investigare il contesto in cui parlano e tenere in mente la situazione metalinguistica.

4.3.2.5.1 Citazione

La citazione è una tra le funzioni conversazionali più frequentemente attestata negli studi sul CM (Alfonzetti, 2012, p. 128). Lo studio presente non è un’eccezione ed è semplice trovare esempi sull’alternanza di codice per riportare, in forma diretta o indiretta, quello che è stato enunciato da un altro locutore in un altro contesto, questo sia reale o immaginato. Nell’esempio 24 la commutazione interfrasale è una chiara introduzione al discorso diretto, cioè Mirco riproduce il discorso diretto in siciliano come originalmente espresso, in questo caso quello che l’intero gruppo di ragazzi ha

gridato mentre aspettavano il compagno con cui avevano una discussione. Il racconto altrimenti scorre in italiano.

24 – MIRCO IN CLASSE – RACCONTA DI UN LITIGIO TRA COMPAGNI DI SCUOLA (9-1’20’’)

M: Usciamo tutta la scuola, com’è suonata arriviamo tutti quanti ueeeeee, (x) che scappavano per dire, ci mettiamo davanti “unni è iddu, u’

spàcchiu è chistu ccà?”* {dov’è lui, dove cazzo è questo qua?}

Nel prossimo esempio 25, Mirco chiede alla sua amica cosa è successo quando lei è arrivata in ritardo a scuola. L’amica racconta partendo in italiano e commutando in siciliano quando recita la parte del bidello. Nel turno 2 rimane un po’ inaspettato in siciliano anche quando introduce e riporta la propria parte, probabilmente perché gli ha risposto in siciliano.

25 – IL RITARDO DELL’AMICA DI MIRCO (3-0’18’’)

1. M: Ma oggi che ti hanno detto che a scuola sei entrata in ritardo?

2. Af: Nieeente il professore sono entra= allora intanto il signor (nome) (imita il bidello con tono dispregiativo): “chi fa, trasi e novi tu?”

Ci dissi “veramente trasu all’ottu ma nun àiu ritaddu, quindi pozzu tràsiri senza ca mi rici ca nun pozzu tràsiri picchì iù trasu u stissu”*. {“Che fai, entri alle nove tu?” Gli ho detto:

“Veramente entro alle otto ma non ho ritardi, quindi posso entrare senza che mi dici che non posso entrare perché io entro lo stesso.”}

(…)

3. A: certo perché questo qua è uno zaurdo gli parli così e non ti capisce se gli parli in italiano! Si parte e faa “allora guarda chi fai, vai dal vicepreside ti fai avvidiri si già u ritardu un l’ài e po’

m ‘u rici si trasi o nun trasi”*. {che fai, vai dal vicepreside a farti vedere se hai già i ritardi o no e poi me lo dici se entri o non entri.}

Quando commenta il proprio narrativo torna in italiano, chiama tipicamente il bidello zaurdo perché parla in siciliano e così giustifica anche che lei stessa ha usato il dialetto spiegando che non avrebbe capito se gli avesse parlato in italiano. Continua a raccontare di nuovo recitando la parte del bidello come originariamente enunciata in siciliano.