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2. Lingua e dialetto

2.6 Commutazione di codice

Ci sono stati molti sviluppi dopo gli studi di Weinreich del 1974 sul bilinguismo che allora diceva che “il bilingue ideale passa da una lingua all’altra a seconda degli appropriati mutamenti nella situazione linguistica (interlocutori, argomenti, ecc.) ma non in una situazione linguistica immutata, e certamente non in una stessa frase”

(Weinreich in Berruto, 2005b, p. 4). Berruto giustamente nota che anzi è il contrario, che questo è del tutto normale. La maggior parte degli studi sul codeswitching (CS), o commutazione di codice19, riguarda la coesistenza di due o più lingue chiaramente

19 Sulla terminologia inglese codeswitching o code-switching, si veda Gardner-Chloros (2010). I termini equivalenti in italiano sono commutazione di codice o alternanza di codice, frequentemente applicata sia da Berruto (2003; 2004);

Alfonzetti (1992; 2012) e Cerruti e Regis (2005). Altri termini come code-swifting, code fluctuation e style shifting sono stati suggeriti per l’alternanza tra una varietà standard e una dialettale. (Giacalone Ramat, 1998, p. 46).

differenti o distanti20, ma l’alternanza tra una lingua standard e un suo dialetto può anche essere definita come tale21. Dipende se le due varietà in questione possono essere considerate due sistemi linguistici indipendenti o se invece sono un sistema con delle varietà interne. Per l’italiano e tanti dei suoi dialetti è vero il primo caso.

Berruto (2003), Alfonzetti (1992), Giacalone Ramat (1998, p. 46), e Cerruti & Regis (2005, p. 180) sostengono che l’Italia è un caso particolare e quando ci sono i due estremi opposti del continuum dialetto – standard, cioè un dialetto primario e l’italiano standard, sono indubbiamente due sistemi separati sia a livello

morfosintattico che lessicale e fonologico. In alcuni casi la distanza tra un dialetto come il siciliano o il veneto e l’italiano è perfino più grande rispetto a quella tra italiano e portoghese o anche italiano e spagnolo (Alfonzetti, 1992, p.18).

Usata dai giovani, la commutazione di codice in termini generali spesso ha uno scopo ludico, l’alternanza tra varietà svolge una funzione scherzosa o ironica. I sociolinguisti da tempo concordano sul fatto che sia un modo intelligente di giocare con la lingua da parte di persone che dominano pienamente le varietà usate, e non un modo casuale di comunicare tra persone di scarsa competenza in un codice (Berruto, 2003, p. 217). Ciò non vuol dire che la commutazione non sia anche governata da strutture grammaticali, anzi spesso lo è, ma non è questo lo scopo della presente ricerca, perciò si cercherà di trovare alcune funzioni discorsive alle quali le commutazioni servono nel corpus parlato e di mostrare come spesso tale commutazione viene confinata da fattori sociali. Prima, però, occorre chiarire i termini usati nella commutazione di codice con le sue varie sfumature e suggerimenti di definizioni.

McCormick (2002, p. 216) sostiene che il codeswitching può essere usato come termine superiore e ampiamente definito come la giustapposizione oppure

20 Alcuni esempi sono francese e inglese a Ottawa-Hull e spagnolo e inglese a New York (Poplack, 1988); tedesco e francese a Strasbourg (Gardner-Chloros, 1991); swahili e inglese a Nairobi (Myers-Scotton, 1997) e olandese e inglese in Cape Town (McCormick, 2002). Siria Guzzo (2014) ha investigato come intere società di operai italiani immigrati a Bedford in Inghilterra cambiano codice tra italiano e inglese, ma anche come tracce del loro dialetto di origine è presente nel loro repertorio linguistico.

21 Maggior parte degli studi su codeswitching è sulla lingua parlata, ma esistono anche gli studi sul codeswitching nei testi scritti (Sebba, Mahootian & Jonsson, 2012).

l’alternanza di materiale tra due (o più) lingue o dialetti. Alfonzetti (1992, p. 16) usa una definizione che si basa su una concezione stretta della commutazione di codice come “passaggio funzionale da un codice o sistema linguistico all’interno di uno stesso evento comunicativo”. Il passaggio è normalmente condizionato da un cambiamento della situazione come l’interlocutore, il contenuto della conversazione oppure lo stato emotivo del parlante. È questo che da Alfonzetti (2012, p. 51) verrà definito commutazione interfrasale e che si differenzia dal codemixing

(commutazione intrafrasale), in quanto quest’ultimo non necessariamente è condizionato da un cambiamento di situazione, contesto o destinatario, ma avviene all’interno dello stesso enunciato ed è espresso dallo stesso parlante. Inoltre si ha la commutazione extrafrasale (ovvero tag-switching), dove sono singoli elementi o espressioni meno legati al resto della frase ad essere alternati, cioè piccoli segmenti come interiezioni, allocutivi, riempitivi e segnali discorsivi. Giacalone Ramat (1995, p. 47) parla di microstrutture dialettali come deittici, locuzioni pragmatiche,

intersezioni che sono penetrate in italiano e sono importanti per quanto riguarda proprio l’alternanza tra italiano e dialetto, perché potrebbero condurre allo sviluppo di un idioletto fuso o misto, cioè che l’alternanza stessa diventerebbe una nuova varietà linguistica.

Seguono degli esempi di commutazione di codice, riportati da Alfonzetti (2012, pp. 51-52) che riflettono il suo modo di dividere il tipo di commutazione in quella interfrasale, intrafrasale e extrafrasale:

Commutazione interfrasale (codeswitching):

- No, non è giusto. Mi ficiru mali* {Mi hanno fatto male}

- Sì ttroppu ggentili! Non si deve esagerare

- Ah! Peggio, certo! Iù sugnu cchiù peggiu di tutti! Io sono il terrore Commutazione intrafrasale (codemixing):

- Unn’è ddu picciriddu* che è venuto qua? {Dov’è il ragazzo}

- Io domani a pputtari tricentu li* {ci devo portare trecento}

- Quasi quasi se tornassi indietro facissi a bbuttana* {facessi la puttana}

Commutazione extrafrasale (tag-switching):

- Signurinu, lei cosa prende?

- È mancata la luce all’un’i sira.* MA: DO: NNA. {all’una di sera.}

- Carusi, non si può capire, non si può capire.

Il disaccordo maggiore tra gli studiosi sta nelle definizioni delle sottocategorie del CS, in particolare riguardo la lunghezza degli elementi alternati. Per esempio, il prestito riguarda soprattutto singoli lessemi o espressioni idiomatiche e viene usato anche da persone monolingui, mentre la commutazione implica il bilinguismo.

Berruto (2005a; 2005b; 2010) e Alfonzetti (2012) criticano in particolare Myers-Scotton (1997) che non distingue né il prestito né la commutazione intrafrasale da quella interfrasale, quando dice che è l’intero discorso bilingue ad avere una motivazione sociale che veicola significato sociale invece del singolo passaggio o switch. Berruto (2003, n. 122, p. 218) sostiene appunto che non si può parlare di commutazione di codice quando si ha casi di utilizzo nella stessa parola di morfemi appartenenti a diversi sistemi, e che chiama ibridismi, mentre Myers-Scotton li chiamerebbe semplicemente un caso di commutazione intrafrasale. Il presente corpus è pieno di ibridismi in quanto la maggior parte degli adolescenti usa una varietà di italiano regionale con frequenti lessemi sicialiani con la morfologia italiana. In questa sede allora la cosa più importante non è se il meccanismo verrà definito come

commutazione di codice, ma piuttosto che esiste un elemento dialettale nel discorso dei giovani.

Concordo con Giacalone Ramat (1995) quando sostiene che l’approccio sociolinguistico ha la priorità su quello grammaticale o strutturale nello studio del CS, dato che le scelte e l’alterazione delle varietà in uso sono attivate da fattori psicologici o sociali anziché da quelli linguistici per quanto riguarda le lingue coinvolte. Le condizioni sociali possono cambiare il comportamento bilingue e i pattern del CS, cioè possono determinare quali pattern sono preferiti. Il cambio di codice costituisce una strategia discorsiva che il parlante ha a sua disposizione e che può avere diverse funzioni come le seguenti:

 Citazione, cioè il parlante riproduce la parlata diretta nel codice originalmente espresso;

 specificazione o destinazione, cioè il cambio è risultato di un cambio dell’interlocutore, del modo o della situazione;

 ripetizione, cioè il parlante ripete quello che ha appena detto in un altro codice per rafforzare o sottolineare;

 limitazione del messaggio: ripetizione di una parte della frase in un’altra varietà, come vederla da un altro punto di vista;

 convergenza/divergenza: segnalare affiliazione con o distanza da un gruppo sociale o un enunciato (we code/they code, vedi Berruto, 1985, n. 221, p. 218);

 interiezioni o esclamazioni.

La commutazione di codice può essere anche un risultato della mancanza di competenza nella varietà usata che provoca il passaggio a un’altra, per esempio si ricorre al dialetto per esprimere parole di affezione perché viene più naturale che dirle in italiano.

Alfonzetti ha interpretato i suoi dati alla luce della teoria di Poplack (1980), la quale parlò della commutazione come indicazione di competenza bilinguistica (Alfonzetti, 2012, p. 52). La relazione tra il tipo di commutazione e il livello di competenza presso il parlante è che la competenza è massima nella commutazione interfrasale, intermedia in quella intrafrasale e minima in quella extrafrasale.

Un’altra funzione che il cambiamento di codice ha, specialmente nel

linguaggio giovanile, è il recitare e mettere in scena narrazioni in cui sono le varietà, il dialetto e la lingua, che hanno i vari ruoli. Alcuni studiosi sottolineano una differenza extralinguistica tra la commutazione interfrasale e quella intrafrasale in termini di funzionalità comunicativa dove il cambio interfrasale può essere definito come il passaggio funzionale tra un codice e un altro mentre quello intrafrasale è privo di una funzionalità specifica. I risultati della presente ricerca concordano invece con quelli di Alfonzetti (2012, p. 77) nel mostrare che anche le commutazioni intra- ed extrafrasali possono essere dotate di varie funzioni come quelle nominate sopra.

Alfonzetti focalizza anche in quale direzione va il passaggio da un codice a un altro. Data la competenza spesso non fluente nel dialetto dei giovani della presente ricerca, la lingua base sarà quasi sempre la lingua italiana, pertanto non verrà dato maggior peso alla direzione delle alternanze, mentre per me può essere più rilevante vedere come funzionano gli omofoni. Alfonzetti ritiene che essi siano importanti particelle che portano all’alternanza dall’italiano al siciliano (1992, p. 240). Sono parole funzionali che coincidono in italiano e in tanti dialetti anche se hanno una struttura diversa. Sono coinvolti in un terzo degli enunciati del suo corpus, e anche

nella presente ricerca possono rivelarsi un importante fattore scatenante della commutazione di codice.