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2. Lingua e dialetto

2.7 Percezione linguistica

2.7.2 I domini d’uso

Anche un dialetto stigmatizzato può godere di alto prestigio, a patto che venga rispettato il dominio d’uso. Le regole per quanto sia opportuno o no usare il dialetto sono intuitive nei parlanti bilingui, e se non vengono rispettate, cioè se viene usato il dialetto in un dominio non adatto, il parlante rischia di essere considerato ignorante o peggio: di non saper parlare la lingua nazionale. I domini, cioè un insieme di

situazioni interazionali (Berruto, 2003, p. 78) possono essere famiglia,

vicinato/amicizia, lavoro, istruzione, religione, amministrazione. L’uso del dialetto è considerato accettabile nei primi due, ma una volta entrati nel mondo amministrativo bisogna passare alla lingua nazionale, ovviamente senza regole decisive per nessun contesto.

La famiglia è il dominio in cui più spesso s’incontra il dialetto, ovvero dove il dialetto è più accettato, però, come fa osservare Ruffino (2006, p. 29), è importante ricordare che la famiglia non è linguisticamente omogenea, dobbiamo prendere in considerazione la distinzione generazionale giacché abbiamo visto come può variare l’uso all’interno della famiglia quasi a poter concludere che il dialetto è diventato la lingua degli adulti. Gli anziani sono portatori del dialetto, i genitori spesso

impediscono ai bambini di usare il dialetto e la lingua di prima istruzione, non solo a scuola, ma anche a casa, sarà sempre l’italiano. Lo mostra anche uno studio recente di

Anna Ghimenton (2015) che indaga sugli atteggiamenti e le scelte linguistici all’interno di una famiglia veneta rivolgendosi al membro più piccolo della famiglia, un maschietto che aveva dai 17 ai 30 mesi durante il periodo della raccolta dei dati.

La famiglia è bilingue ma mostra sia atteggiamenti che usi linguistici effettivi diversi a seconda della variazione generazionale. I genitori ritengono come fondamentale la trasmissione dell’italiano ed è indifferente all’acquisizione del dialetto (il padre), eventualmente è favorevole a un tardo acquisizione (la madre). I nonni materni vedono la trasmissione dialettale come una ricchezza culturale, mentre i nonni paterni hanno opinioni diverse. La nonna lo trova inutile caratterizzando il dialetto come brutto e non melodico malgrado il fatto che dichiara di avere il dialetto come la prima lingua. La sua opinione negativa del dialetto la fa sentire a disagio per la sua

mancanza di competenza nell’italiano. Suo marito invece ritiene importante una trasmissione del dialetto al bimbo, ma poiché il figlio, cioè il padre del piccolo, preferisce che i nonni si rivolgano al nipote in italiano, rispetta questa preferenza e usa l’italiano quando si rivolge al bambino. Mostrano però tutti un uso effettivo più liberale del dialetto di quanto esprimano, particolarmente in interazioni con più membri della famiglia anche i genitori ogni tanto permettono di rivolgersi al bambino in dialetto. Si è osservato che quando i genitori sono soli con il figlio, la sua

produzione dialettale non viene particolarmente favorita. Sono però più favorevoli all’uso del dialetto in un misto con l’italiano perché esso così contribuisce

espressivamente all’italiano. Il dialetto riceve tipicamente l’etichetta

“pragmaticamente utile.” Si trovano quindi gli stessi meccanismi anche in una regione in cui il dialetto generalmente gode di un alto prestigio, particolarmente più alto che in Sicilia.

Un altro dominio importante è la scuola, e si sente spesso che non si deve usare il dialetto con persone di alta istruzione, siccome è più conveniente usarlo con gente dei bassi ceti sociali. Anche se la scuola rappresenta la prima istruzione, ci sono tanti sottodomini anche all’interno della scuola. In classe con l’insegnante

normalmente si userebbe l’italiano, ma se la confidenza è alta, magari anche il dialetto va bene. Con i compagni di classe forse vale la stessa cosa, ma con gli amici fuori dalla classe, e soprattutto in campo o per la strada, diventa tutta un’altra cosa.

Ruffino (2006, p. 96) riporta un brano da Harrison e Callari Galli che mostra come scuola e strada siano simboli di due esistenze e esperienze di apprendimento

contrapposti che per il bambino rappresentano rispettivamente l’italiano e il dialetto.

La scuola, cioè l’italiano, rappresenta il comportamento corretto che richiede una certa esperienza e abilità, impone competitività all’interno della stessa classe d’età ed è più lontana della realtà della strada che invece richiede un’altra esperienza e abilità, la destrezza fisica con cui il bambino impara ad associarsi tra classi di età diverse. I due simboli contrapposti spesso si rafforzano e diventano cruciali per le scelte linguistiche del bambino. Harrison e Callari Galli illustrano benissimo:

In questa contrapposizione, se il figlio dell’analfabeta frequenta la scuola dell’obbligo, alla fine delle lezioni, mentre il suo coetaneo figlio di istruiti, ritornato in famiglia, riceverà da questa il doposcuola, lui imparerà dalla strada un comportamento antiscolastico; e la scuola allora lo punirà per il suo

dialetto, per le sue maniere scorrette, perché non ha fatto i compiti, perché è meno bravo degli altri: lo convincerà che non è fatta per lui, perché lui stesso sarà convinto di non esser fatto per la scuola (Harrison e Callari Galli in Ruffino, 2006, p. 96).

Le regole dei domini d’uso sono regole non scritte, norme che sono rispettate senza che vengono enunciate esplicitamente, sono già stabilite nella mente dei parlanti dialettofoni che nonostante siano monolingui o bilingui conoscono bene le funzioni che il dialetto svolge in una data situazione comunicativa. Il dominio d’uso è quindi cruciale per comprendere il sistema di valori che spingono la scelta di codice, cioè che cosa sia più accettato fare pensando alle attese sociali in una data situazione comunicativa. Questa scelta di codice è guidata da valori come potere, disprezzo, orgoglio, lontananza da o appartenenza a un gruppo sociale o individui. D’Agostino (2007, pp. 141-142) riporta un brano illustrativo che mostra come un giovane palermitano sceglie di esprimersi in siciliano nella situazione comunicativa formale che secondo i domini d’uso richiederebbe l’italiano, praticamente un esempio in cui la strada incontra la scuola ovvero lo stato. Il ragazzo siciliano racconta in

un’intervista dopo l’accaduto com’è stato arrestato per la prima volta dalla polizia.

Alla domanda di identificarsi aveva risposto Saibbaturi, la versione siciliana del suo nome ‘Salvatore’, suscitando quindi una reazione dura da parte dei poliziotti. Tutti e

soprattutto Salvatore stesso, è ben consapevole del fatto che scegliendo dialetto in una tale situazione, si distanzia dalle autorità che lo fermano, e allo stesso tempo crea solidarietà con i ragazzi del quartiere, o della strada.