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Il cinema muto e il contesto di ricezione

La tecnica cinematografica, il proiettare in successione fotogrammi su uno schermo creando l'illusione di movimento, è stata attribuita ai fratelli francesi Louis e Antoine

Lumière.Si ritiene la datazione esatta della nascita del cinema il 28 dicembre 1895, il giorno della prima proiezione pubblica a Parigi.

Agli albori dell'era cinematografica il cinema fu un fenomeno popolare che aveva poco a che fare con la letteratura e il teatro. Nella sua prima fase il film muto diede poca importanza alla narrazione: la forza di seduzione del nuovo strumento di divertimento stava prima di tutto nell'apparente naturalezza e inesplicabile capacità di far apparire, dal nulla, uomini e animali viventi. La proiezione d'immagini con la sua magia di movimento non era peraltro una forma di spettacolo tutta nuova, ma per la prima volta si potevano realizzare filmini basati su immagini fotografiche, non disegnate.

Lo spettacolo cinematografico ebbe la sua maggiore diffusione in principio in un ambiente di fiera, d'esibizioni teatrali e illusionistiche. Soprattutto in Francia e negli Stati Uniti gli spettacoli del tipo vaudeville furono il luogo d'intrattenimento per eccellenza, e già prima dell'inizio del '900 nacquero in Francia i primi stabilimenti cinematografici, organizzati con teatri di posa e con personale tecnico e artistico fisso. Avendo in mente il contesto di ricezione è facile individuare da dove venga il gusto caratteristico del periodo per le gag e i trucchi filmici. Gli schemi fissi della rappresentazione cinematografica si svilupparono presto in generi veri e propri. I primi generi di successo erano le vedute, le ricostruzioni storiche, e le gag (Bernardini, 1982 e 2002).

Un altro aspetto del cinema primitivo, consistente di una sola inquadratura di una lunghezza di 15-17 metri, era il carattere documentaristico del mezzo, che consentiva di fornire agli spettatori l'accesso a luoghi e pratiche sconosciuti, e di manipolare le loro menti a concepire la propria realtà in un modo diverso. I rappresentanti dei fratelli Lumière, e poi gli impresari di spettacoli viaggianti, giravano film in luoghi remoti ed esotici, ma anche negli stessi posti dove intendevano proiettare i film: questo era una pratica per incuriosire gli spettatori e attirargli ad uno spettacolo dove potevano vedere se stessi, gli amici e i familiari (Bernardini, 2002: 7). Il cinema fu anche usato come strumento per spiegare fenomeni scientifici.

In Italia la prima presentazione della macchina cinematografica dei Lumière fu il 13 marzo 1896 nello studio fotografico Le Lieure di Roma.36 Fino al 1906 ci furono poche sale cinematografiche permanenti - la distribuzione fu realizzata dal cinema mobile attraverso le strutture del cinematografo provvisorio, del ritrovo di svago con film e del baraccone ambulante.37 Il cinematografo provvisorio era un fenomeno urbano; in un locale affittato si effettuavano proiezioni per un periodo che andava da una sera a qualche mese. Urbano era anche il ritrovo di svago con film, una forma d'intrattenimento per il medio e piccolo borghese che si riuniva nei bar, nelle birrerie, nei caffè-concerti, nei politeami o nei teatri comuni dove i film costituivano solo una piccola parte di un programma d'arte varia. Dopo il 1900 apparvero i baracconi ambulanti; fieraioli che giravano l'Italia proiettando i film in un contesto

spettacolare tradizionale (la lanterna magica e altre rappresentazioni con mezzi meccanici, esibizione dal vivo come per esempio la pantomima, illustrazione del cantastorie ecc.) (Raffaelli, 2003).

Tra le caratteristiche tipiche del film muto, la più evidente è l'assenza di trasmissione sonora, ma il film muto non era necessariamente silenzioso e senza dialoghi: la pratica dell'accompagnamento di pianoforte, che seguiva e accentuava il ritmo del dramma, è ben nota, mentre meno conosciute sono le prassi di fare recitare gli attori ad alta voce dietro la tenda o metterci interi cori per creare l'atmosfera giusta.38 Un oratore, che poteva essere un inserviente o l'operatore di persona, apriva lo spettacolo richiamando il pubblico, commentava la storia del film durante la proiezione, e chiudeva lo spettacolo con dei saluti finali

standardizzati. All'inizio dell'epoca cinematografica il pubblico aveva difficoltà a

36 In questo periodo ci furono anche invenzioni italiane autonome (Filotelo Alberini brevettò il suo Kinetografo nel Dicembre del 1895, e Italo Pacchioni realizzò ugualmente un proprio apparecchio e girava dei film), ma queste perdettero terreno rispetto ai francesi (Bernardini, 2002: 7-8. Brunetta, 2003: 425). Il Museo del

precinema/la Collezione Minici Zotti di Padova mostra lo sviluppo del precinema e della lanterna magica, e può fornire ulteriore informazione sul tema. Si veda www.minicizotti.it.

37 In Italia il primo cinema fisso fu il Cinema Moderno di Piazza Esedra in Roma, attivo almeno dal 1904, e dopo il 1906 ce ne erano parecchi nelle città maggiori (nel 1906 a Napoli 25, a Roma 20, a Torino 9, a Milano 7, secondo Bernardini) (Raffaelli, 1992: 21). Alberto Menarini testimonia che il piacere dell'offerta cinematografica bolognese fu accompagnata da qualche malumore: "I primi cinema cittadini [...] erano insediati in cameroni sgraziati e antigienici (vecchie stalle, magazzini abbandonati), muniti di panche (le più o meno comode poltroncine nacquero ben più tardi); le porte d'ingresso erano nascoste da tendaggi di tela nera che dovevano proteggere la sala contro la luce esterna. Di tanto in tanto un inserviente senza uniforme, o provvisto tutt'al più di uno di quei berretti a visiera lucida che da noi sostituiscono, o anticipano, l'uniforme propria dei servizi pubblici, si avvicinava allo schermo, e per mezzo di una siringa di inverosimili dimensioni inaffiava la tela con abbondanti schizzi d'acqua, che avevano la funzione di rendere più incisive, luminose e trasparenti le immagini.

Alternativamente, lo stesso inserviente si presentava con un'altra siringa di proporzioni più modeste, e spargeva per l'aria spruzzi di profumo economico ma provvidenziale: l'aria era saturata degli effluvi emanati dal popolino, di fumo di sigari e di pipe, di pungente odore di tabacco da fiuto. Le scarpe affondavano in uno strato di bucce di semi di zucca, di carta di caramelle e di peggio." (Menarini, 1955: 10)

38 L'uso dei cori fu connesso al genere delle sceneggiate, film basati sul testo di una canzone di successo. Questo genere trae la sua origine dal teatro popolare napoletano.

comprendere il linguaggio filmico, e per facilitare la comprensione del film il riassunto della storia e foto delle inquadrature, copiati dai cataloghi dei produttori, potevano essere distribuiti al pubblico, come nel teatro d'opera (Reyes, 1998: 305).

Il combinare immagini ed enunciazioni orali fu una pratica che caratterizzò solo la prima fase del cinema muto; in una seconda fase vennero introdotte le didascalie scritte per strutturare e spiegare la narrazione. L'aspetto orale della prima fase ha fatto suddividere a Sergio Raffaelli il film muto in due categorie: il primo, detto il "cinema orale", è appunto caratterizzato dalla combinazione di immagini ed enunciazioni orali che non fanno parte del testo filmico (una pratica che si estese in Italia dal 1896 al 1905).39 Il secondo tipo di film muto fu invece costituito da immagini e testi scritti (le didascalie), e venne sostituito dal cinema sonoro all'inizio degli anni Trenta.40

L'introduzione degli intertitoli è connessa al cambiamento del soggetto dei film, che in Italia verso il 1906 era sempre più spesso tratto dal teatro e dalla letteratura - prima dal teatro leggero e filodrammatico, poi da quello prestigioso. L'influenza dal teatro era profonda in tante aree: il compito di recitazione veniva affidato ad attori e compagnie teatrali, e il modo di costruire la struttura narrativa si avvicinava alla pratica teatrale. Per la realizzazione dei film si dava notevole importanza alla tradizione teatrale di organizzare la messinscena, all'uso di pantomima e alla recitazione (Raffaelli, 1992: 40). Le didascalie, più frequenti ed elaborate in lungometraggi con un intreccio complesso, cercavano di compensare l'assenza di trasmissione sonora, chiarire e spiegare il racconto per immagini, e garantire la comprensione da parte del pubblico composto di tutti i livelli sociali. L'applicazione delle didascalie, a differenza della pratica del montaggio, non ebbe tra l'altro una base teorica.

Conseguentemente all'uso sempre più frequente delle didascalie scritte, il personale cinematografico smise di spiegare l'intreccio ad alta voce. La pratica fu però seguita da letture spontanee degli intertitoli da parte del pubblico, come un testimone evidenzia:

39Il primo film italiano con didascalie fu La presa di Roma della Alberina e Santoni di Roma (1905), che tra l'altro fu anche il primo film a soggetto italiano (Brunetta, 2003: 427).Il primo film americano con didascalie fu Uncle Tom's Cabin di Edwin S. Porter (1903).

40 L'uso del termine "cinema orale" è stato però fatto non in modo congruente dagli studiosi italiani: in un saggio Gianni Rondolino applicò il termine al cinema sonoro (i film in cui rumori, dialoghi, musica sono registrati su una colonna sonora della pellicola e così sincronizzati con le immagini) per contrastare "il cinema scritto", in altre parole il cinema muto in generale. Rondolino intende allora oralità come una qualità intradiegetica: cioè gli enunciati prodotti dai personaggi o dai narratori appartenenti al mondo della narrazione stessa, mentre il termine di Raffaelli comprende solo gli enunciati extradiegetici fatti da persone presenti nella sala di proiezione insieme al pubblico. Raffaelli precisa inoltre che è stato lui a fare la prima proposta di tale periodizzazione, e afferma che in seguito essa è stata ripresa da Tullio De Mauro in un suo lavoro sul Wittgenstein (Rondolino, 1998: 117, Raffaelli, 2003: 19).

Le ineffabili didascalie che spiegavano quel po' di trama che la visione non bastava a chiarire, venivano lette ad alta voce, in origine, dall'inserviente stesso, in considerazione del fatto che l'analfabetismo non era, in quei tempi, casa da trascurarsi. Poi, per rispetto al pubblico, l'utile servizio venne abolito, e allora i più eruditi fra gli spettatori, leggevano ad alta voce, e nessuno protestava ferocemente per il disturbo come succederebbe oggi. Anzi, rammento che molte persone, soprattutto donne, cercavano di sedersi accanto a spettatori che leggessero a voce alta, e ciò per non perdere una sola parola; e se per caso qualche didascalia passava sotto silenzio, c'era sempre chi protestava: Non c'è nessuno che legga forte, qui? Erano cose che si facevano con massima naturalezza e serietà. (Menarini, 1955: 12)41

I mezzi espressivi più importanti, oltre alla scrittura, furono quelli specifici del medium filmico, che man mano sviluppava un codice che riuscì a rendere la narrazione in modo efficace. In questo contesto non posso affrontare il tema in maniera dettagliata, mi limito perciò ad accentuare qualche caratteristica tipica del linguaggio filmico muto: le espressioni del volto degli attori, truccato fortemente per esaltarne l'intensità, i gesti e i

movimenti intensi ed estremi del corpo ispirati dalla pantomima, la colorazione della pellicola che indicava le variazioni della luce e atmosfere del mondo diegetico. Il periodo del film muto si chiuse dopo l'inizio della produzione industriale dei film sonori, negli Stati Uniti nel 1927 e in Italia nel 1929.