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10 (1) / 2018

Elizaveta Khachaturyan (ed.)

Italiano e norvegese:

studi di lingua e di cultura

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General editors: Atle Grønn and Dag Haug

Issue editor:

Elizaveta Khachaturyan University of Oslo

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10 (1) / 2018

Elizaveta Khachaturyan (ed.)

Italiano e norvegese:

studi di lingua e di cultura

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Elizaveta Khachaturyan (ed.):

Italiano e norvegese: studi di lingua e di cultura.

Oslo, University of Oslo ISSN 1890-9639

© 2018 the authors

Set in LATEX fonts Gentium Book Basic and Linux Libertine by Nicola Ruggiero.

Cover design by UniPub publishing house.

Printed by Print House AS from camera-ready copy supplied by the editors.

http://www.journals.uio.no/osla

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Indice

Premessa 1

Elizaveta Khachaturyan

Dal testo alle parole: studi contrastivi 3

Elizaveta Khachaturyan

Emozioni in norvegese e in italiano: analisi linguistica delle favole di

H. C. Andersen 13

Anne Flaen Anvik

La traduzione degli elementi culturali nella letteratura per bambini 41 Helene Johansen

Problemi di traduzione di due romanzi italiani in norvegese: tra la

lingua e il dialetto 66

Pernille Thull

La retorica politica contemporanea: analisi dei discorsi di Berlusconi

e di Stoltenberg 90

Marit Viggen

Il lessico musicale nei modi di dire in italiano e in norvegese 117 Margrethe Førre Nardocci

Speaking about the past from different perspectives: the acquisition of Italian L2 by Norwegian and Russian learners 141 Elizaveta Khachaturyan

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http://www.journals.uio.no/osla

premessa

Il presente volume contiene sei contributi, cinque dei quali rappresentano una versione elaborata delle tesi di laurea specialistica conseguite negli anni 2012- 2016 presso il Dipartimento di Letteratura, Civiltà e Lingue Europee dell’Universi- tà di Oslo.

Queste tesi hanno alcune proprietà in comune ed è stato naturale raccoglierle insieme. Da un lato, gli studi presentati esaminano la lingua come parte integrante della cultura fornendoci informazioni sulla società, in cui la lingua viene usata.

Dall’altro, l’analisi effettuata si basa su un approccio contrastivo focalizzandosi su due lingue: l’italiano e il norvegese.

Prendendo in considerazione le idee-chiave di ogni studio ho pensato che le descrizioni proposte potessero essere utili non solo per gli specialisti, ma per tut- ti quelli che sono interessati a conoscere la lingua come impronta della società, vederla in una prospettiva inconsueta, e pensarla non solo come strumento di co- municazione. In definitiva per tutti quelli che attraverso la lingua vogliono scopri- re qualcosa sulla cultura e attraverso il confronto tra due lingue vogliono capire meglio le due società.

Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione di que- sto volume: il Dipartimento di Letteratura, Civiltà e Lingue Europee (ILOS) dell’U- niversità di Oslo per aver sostenuto e supportato questa iniziativa; Rosanna Be- nacchio, Giuliano D’Amico, Gabriele Iannaccaro, Erling Strudsholm per aver letto e commentato gli articoli; Fabiana Galiussi per aver riletto tutti i contributi. Infi- ne, ringrazio la mia famiglia per la pazienza e la collaborazione durante le diverse fasi del lavoro.

Elizaveta Khachaturyan Oslo, gennaio, 2018

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http://www.journals.uio.no/osla

dal testo alle parole: studi contrastivi

E L I Z A V E T A K H A C H A T U R Y A N Università di Oslo

i n t r o d u z i o n e

Negli ultimi decenni gli studi contrastivi continuano ad espandere il loro do- minio segnando così l’inizio di una nuova fase: dall’analisi dei fenomeni gramma- ticali – prevalente negli studi del secolo scorso – l’interesse dei ricercatori si sta rivolgendo ora sempre di più verso le differenze comunicative che caratterizzano le lingue e riguardano diversi livelli linguistici, dalle strutture morfosintattiche fino alle proprietà di carattere sociolinguistico e pragmatico.1Il punto di parten- za di uno studio contrastivo diventano pertanto il testo2visto come realizzazione generale di un qualsiasi atto comunicativo e i mezzi linguistici usati per costruir- lo. Così (come vedremo nelle sezioni successive) l’analisi si concentra sulle forme usate in un contesto specifico o in una situazione comunicativa prestabilita.

Il presente articolo ha molteplici obiettivi. Oltre a introdurre i contributi del volume, esso si propone di descrivere il testo come oggetto di uno studio contrasti- vo individuando gli elementi importanti per la sua costruzione; e infine suggeri- sce possibili strade da seguire nei futuri studi italo-norvegesi, al momento ancora poco numerosi.

L’articolo è diviso in tre parti: la presentazione del testo come materiale per l’analisi contrastiva nella prima sezione sarà seguita, nella seconda sezione, dalla descrizione dei due tipi di analisi effettuata su due livelli (la struttura testuale e le parole usate), e si concluderà nella terza sezione con la presentazione dei contributi di questo volume.

[1] i l t e s t o c o m e o g g e t t o d i s t u d i o

I manuali di linguistica definiscono il testo come “una produzione linguistica creata con l’intenzione e con l’effetto di trasmettere un particolare contenuto co-

[1] Un contributo importante a questa espansione dell’oggetto degli studi contrastivi è stato dato dai corpora, che hanno offerto maggiori possibilità per l’analisi dei testi di vari stili, permettendo anche di effettuare una ricerca veloce delle forme o strutture studiate. Per un esempio di vari tipi di studi basati sull’uso dei corpora (v. p.es. OSLa,2014).

[2] In base alla forma della produzione (scritta oppure orale) si può distinguere tra testo e discorso. Di solito il testo ha la forma scritta. Questa proprietà impone alla struttura del testo certe caratteristiche come, per esempio, lo svolgimento lineare, l’impossibilità di retrocedere (a meno che non sia marcato esplici- tamente nel testo), e il carattere statico. Il discorso, al contrario, svolgendosi nella comunicazione orale, viene considerato una produzione linguistica dinamica con possibilità di retroazione (v. p.es.Serianni 2003). I contributi del presente volume sono dedicati all’analisi del testo.

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municativo a uno o più destinatari” (Cerruti & Cini 2007: 3). Nella costruzione del testo (di lunghezza illimitata, quindi da due parole fino a migliaia di pagine) sono coinvolte tre componenti indispensabili le cui caratteristiche sono importanti per la forma che assume il testo nel processo della costruzione: autore – messaggio – lettore, dove l’autore (il mittente) si rivolge ai lettori (destinatari) con un certo messaggio comunicativo, la cui forma e il contenuto dipendono dalle caratteristi- che dei partecipanti (autore-lettore) alla comunicazione. Tra queste caratteristi- che bisogna distinguere i vari tipi di rapporti tra gli interlocutori, la situazione in cui si svolge la comunicazione, e anche la lingua usata nella comunicazione.

Ogni tipo di testo prevede diverse forme di rapporti tra gli interlocutori (v. p.es.

Cerruti & Cini 2007,Palermo 2013,Serianni 2003). Inoltre, è noto che la coesione e la coerenza sono due requisiti importanti per creare un testo ben formato. La coesione, fondamentale per la struttura testuale, riguarda la forma e si realizza attraverso i vari modi in cui si collegano tra di loro le parti del testo. La coerenza è basata su una connessione logico-semantica tra le parti del testo e riguarda il contenuto e il significato del testo: sono le parole e le loro combinazioni ad avere un ruolo importante in questo caso.

Le regole che presiedono alla formazione di un testo sono universali ma i mez- zi a disposizione per realizzarle variano a seconda della lingua. Questi mezzi ri- guardano, in primo luogo, la coesione (quindi la struttura) e la coerenza (quindi il contenuto: le parole e le espressioni usate per trasmettere il messaggio comuni- cativo) nel testo.

Un’analisi contrastiva può utilizzare come oggetto di studio i testi autentici e i testi costruiti in seguito a un esperimento linguistico. In questo secondo caso la costruzione del testo viene effettuata dagli informanti in base ai criteri pre- stabiliti in anticipo, prima di cominciare l’esperimento linguistico, il quale può prevedere diverse attività come, ad esempio, le descrizioni di immagini o di film, i giochi di ruolo (role plays) oppure le interviste. Come esempio di una tale costru- zione del testo usato per l’analisi contrastiva possiamo citare uno studio danese (Korzen 2007, Skytte et al. 1999) dedicato al confronto della produzione lingui- stica e della strutturazione testuale in danese e in italiano. In questo studio gli informanti dovevano raccontare (alcuni per iscritto, gli altri oralmente) il conte- nuto di due film (muti) con Mr. Bean. Può servire da ulteriore esempio il progetto italo-australiano (Bettoni 2006) sulla realizzazione delle proteste. In questo caso l’analisi era focalizzata sulle differenze pragmatiche presenti nella comunicazio- ne orale: gli informanti hanno partecipato ad un gioco di ruolo “recitando una serie di 9 scenette con diverse caratteristiche socio-pragmatiche” (Bettoni 2006:

121).

A seconda degli obiettivi dello studio, gli informanti coinvolti nell’esperimen- to possono costruire il testo sia nella loro madrelingua (L1) (come nello studio danese o nel progetto italo-australiano), sia nella lingua straniera (LS) che acqui-

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siscono. In questo secondo caso si discute spesso l’influenza della L1 sull’acquisi- zione della LS (p.es.,Aijmer 2004,Fant & Hancock 2015,Hasselgren 2002,Verhoe- ven & Strömqvist 2001). A questo tema sarà dedicato l’ultimo studio del presente volume.

L’oggetto di uno studio contrastivo può essere costituito anche da testi tra- dotti messi a confronto con il testo originale oppure con un’altra traduzione in un’altra lingua, come illustrato dallo studio di Anne Flaen Anvik nel presente volume.3

[2] d u e a p p r o c c i a l l ’ a n a l i s i d e l t e s t o

Focalizzato sul testo come oggetto principale di analisi, lo studio contrastivo può svolgersi su due assi e descrivere: (i) le forme che fanno parte del testo, e (ii) il testo nel suo insieme come produzione finita. Sia le forme usate nel testo, sia la struttura del testo possono essere presentate in una prospettiva monolingue, che permetterà di stabilire le regole per questa lingua, e/o in una prospettiva pluri- lingue (prevista da un approccio contrastivo) che aiuterà a vedere (attraverso il confronto) le differenze tra i testi realizzati in diverse lingue.

[2.1] Analisi della struttura testuale

La struttura del testo non dipende solo dai partecipanti alla comunicazione.

Certi aspetti della struttura testuale sono prescritti da regole che vigono a livello della lingua e che si dividono in: (i) regole di carattere intersegmentale (gramma- ticale e sintattico) che stabiliscono come connettere le varie parti della frase e (ii) regole di carattere soprasegmentale che descrivono come effettuare il collega- mento tra le varie parti del testo (p.es.Andorno 2003,Cerruti & Cini 2007,Palermo 2013,Serianni 2003). Tra i mezzi linguistici più diffusi e universali (ossia rilevan- ti per tutte le lingue) usati per creare un testo ben formato si possono citare i seguenti: elementi deittici, sostituzione lessicale (mediante sinonimi, iperonimi, nomi generali), riformulazione, ellissi, connettivi (che permettono di evitare le frasi nominali o le frasi giustapposte).4 Tutti questi strumenti, pur essendo uni- versali, funzionano diversamente in vari tipi di testi,5 ma anche in varie lingue.

Così ogni tipo di testo può essere caratterizzato in base alle strategie e fenomeni linguistici più tipici.

Per esempio, nei testi descrittivi (indipendentemente dalla lingua) sono spes- so usati vari elementi locativi. Nei testi italiani di questo tipo prevalgono l’im- perfetto e il verbostare(Werlich 1975, inCoveri, Benucci & Diadori 2005: 142-4 ).

[3] Va notato che anche le traduzioni nella stessa lingua della stessa opera, effettuate in periodi stori- ci diversi e da traduttori diversi, possono servire da oggetto di studio interessante in quanto esempi rappresentativi dell’evoluzione della lingua e della società (v.p.es.Romanzi 2017).

[4] Per una descrizione dettagliata di questi elementi, si veda per esempio, i manuali di linguistica testuale (Andorno 2003,Cerruti & Cini 2007,Palermo 2013,Serianni 2003).

[5] Per varie teorie sulla tipologia dei testi v. p.es.Coveri, Benucci & Diadori 2005: 141-143

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Nei testi argomentativi è importante, ad esempio, l’uso dei connettivi (p.es.d’al- tronde, in effetti, pertanto, quindi). Un esempio di testo argomentativo è il testo ac- cademico. È stato mostrato in alcuni studi (Clyne 1981,Gotti 2012,Hyland 1998, Siepmann 2006) che anche i testi accademici, nonostante una serie di proprietà abbastanza rigide e universali (se paragonati agli altri generi), possiedono alcu- ne caratteristiche che variano da una lingua ad un’altra. Per esempio,Siepmann (2006)basandosi sugli studi precedenti e sulla propria analisi propone una tabella riassuntiva delle differenze stilistiche importanti per lo stile dei testi accademi- ci scritti in inglese, francese e tedesco. Tra le differenze stilistiche individuate vengono descritti gli aspetti seguenti: relazione/ rapporto tra l’autore e il letto- re, coerenza generale, struttura del testo, atti testuali, metalinguaggio, struttura del paragrafo, relazione logico-semantica insieme con l’uso dei segnali discorsivi, modalità testuale ehedging, autoreferenza dell’autore, nominazione degli agenti (2006: 142-3). Basandosi su questi aspetti, vari studi hanno dimostrato che il te- sto scritto in inglese ha una struttura lineare dove ogni paragrafo comincia con una frase principale (topic sentence) che viene sviluppata e conclusa alla fine del paragrafo (Siepmann 2006: 140).

Il testo scritto in francese invece dà più spazio a digressioni e riflessioni che non riguardano il soggetto in modo diretto. Inoltre, lo stile francese è molto più ornato (more ornate style), permette di usare metafore e costruzioni più espressive che in inglese non sono accettabili (Siepmann 2006). Queste differenze vengono spiegate dal fatto che anche la logica e la retorica si basano su alcuni principi tipici di una lingua e una cultura: “Logic (in the popular, rather than the logician’s sense of the word) which is the basis of rhetoric, is evolved out of a culture; it is not universal. Rhetoric, then, is not universal either, but varies from culture to culture and even from time to time within a given culture” (Kaplan 1966/1980: 2).

Nello studio italo-danese (Korzen 2007) che analizza i testi descrittivi, sono state individuate alcune differenze che distinguono i testi costruiti in italiano dai testi in danese, tra le quali si possono citare a titolo d’esempio: l’uso più frequen- te dell’anafora “infedele”6 in italiano che permette di evitare la ripetizione, la subordinazione in italiano usata come collegamento sintattico principale, invece della coordinazione più diffusa in danese. La struttura dei testi italiani e norvege- si non è oggetto di studio nel presente volume. Va notato, però, che è uno degli argomenti sul quale si possono focalizzare i futuri studi.

[6] L’anafora infedele, come viene definita inKorzen (2007), è un’anafora lessicalmente diversa dal suo an- tecedente, per esempio:Ho visto un’automobile nel nostro cortile ieri sera. Il veicolo era di una marca che non conosco. Oppure:Stasera arriva Umberto Eco. Lo scrittore italiano si ferma fino a domenica(gli esempi sono presi daKorzen 2007).

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[2.2] Analisi delle parole usate

Le parole e le espressioni usate nel testo sono importanti per garantire la coe- renza del messaggio trasmesso. Questo tipo di connessione basato sulle conoscen- ze di carattere linguistico e culturale condivise dai partecipanti, garantisce l’ac- cessibilità e la rilevanza dell’informazione per l’interlocutore (p.es.Andorno 2003, Cerruti & Cini 2007,Palermo 2013,Serianni 2003). Le conoscenze di carattere lin- guistico riguardano il significato e le proprietà combinatorie delle parole (rappor- ti sintagmatici tra le parole). Di solito questa informazione fa parte delle regole della lingua e può essere appresa insieme con le altre regole durante il processo di acquisizione della lingua (sia della L1 sia della LS).

Le conoscenze di carattere culturale, trasmesse dalle parole, sono invece di molteplici tipi, possono contribuire alla costruzione del testo su vari livelli e sono studiate da diverse discipline.7Per esempio, negli studi di Wierzbicka partendo dalle idee proposte da Humboldt, Sapir e Worf, viene descritta la specificità na- zionale di ogni lingua (Wierzbicka 1992) e il carattere etnocentrico (ovvero l’o- rientamento verso la cultura del popolo) contenuto nel significato di alcune paro- le. Così attraverso l’analisi di alcune parole e costruzioni etnocentriche diventa possibile, secondo Wierzbicka, descrivere il carattere nazionale del popolo. Per esempio, nella cultura russa ci sono tre nozioni importanti che si ripetono spesso sia nella lingua quotidiana sia nella letteratura e non hanno un equivalente esat- to nelle altre lingue:dusha(animo/anima), sud’ba(destino/sorte),toska(nostal- gia/rimpianto) (Wierzbicka 1992). Lo stesso si potrebbe dire, per esempio, della parolafadoin portoghese (Santos 2015). Negli studi di C. Kramsh dedicati alla di- dattica della lingua straniera (Kramsch 1993,2006), con particolare riferimento agli approcci culturale e stilistico nell’insegnamento, si analizzano, per esempio, le differenze tra le associazioni (e/o i legami culturali) suscitate dalle parole nei parlanti di madrelingua diversa:

“When speaking of education (Bildung), German speakers do not think in terms of challenges or opportunities – two untranslatable words – but in terms of requirements (Anfroderungen) and performance (Leistung). (…) it raises the problem of wanting to express one world view through the language normally used to express another society’s world view.”

(Kramsch 1993: 20) Certe conoscenze culturali uniscono tutti i parlanti della stessa lingua e fanno parte, secondoKramsch (2006), della competenza simbolica (symbolic competence) del parlante. Proprio questa competenza è indispensabile per la comunicazione nella società moderna, dove gli obiettivi comunicativi vanno oltre a uno scambio

[7] Per una breve panoramica si veda p.es.Khachaturyan 2015.

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di informazioni prevedendo anche la manipolazione dei sistemi simbolici: “Com- munication itself has also expanded its goals from merely instrumental (problem- solving and exchange of information) to a much more sophisticated competence in the manipulation of symbolic systems” (Kramsch 2006: 251). Le conoscenze cul- turali e la competenza simbolica sono spesso difficili da acquisire: non sono pre- senti né nei dizionari, né nei manuali di lingua; inoltre, sono spesso dipendenti dalla figura del parlante (ovvero delle sue proprietà sociolinguistiche, come per esempio, età, studi eseguiti, professione) e dalle sue conoscenze (e/o esperienza).

Allo stesso tempo si potrebbe dire che proprio le conoscenze di carattere cultu- rale predefiniscono spesso (dal punto di vista del contenuto e della forma) quello che diciamo in varie situazioni.

Diversi studi contrastivi descrivono le differenze tra i parlanti nella stessa si- tuazione comunicativa, ma di madrelingua diversa. Per esempio, a seconda della lingua cambia il modo di esprimere le emozioni (Pavlenko 2006), il modo di reagi- re ai complimenti (Alfonzetti 2013), o il modo di esprimere la protesta e la critica (Bettoni 2006,Bettoni & Rubino 2007). Gli studi di questo tipo sono spesso chia- mati di “pragmatica contrastiva” e di “pragmatica interculturale” (Bettoni 2006:

92-93).

Un altro gruppo di parole il cui significato è collegato con le conoscenze cul- turali è costituito dalle parole-realia, ossia “le parole che denotano cose materiali culturospecifiche” (Osimo 2010: 157). Queste parole sono analizzate nell’ambito degli studi traduttivi (p.es. Osimo 2010) dove diversi approcci e strategie sono state elaborate per tradurre e classificare le parole-realia (per una descrizione dettagliata v. il contributo di Helene Johansen in questo volume).

Le parole usate in diversi tipi di testi, interpretabili non solo dal punto di vista linguistico ma anche portatrici di una certa informazione culturale sono oggetto degli studi presentati in questo volume.

[3] i l c o n t e n u t o d e l vo l u m e

I contributi nel presente volume analizzano le parole che possono essere chia- mate “parole con un contenuto culturale”. Ogni articolo rappresenta uncase-study e offre una descrizione dettagliata delle differenze linguistico-culturali tra le due lingue; ognuno di essi può servire da punto di partenza per un nuovo studio.

Tre articoli sono basati sull’analisi delle traduzioni. Il contributo di Anne Flaen Anvik descrive due traduzioni (una in norvegese e l’altra in italiano) delle favole di Hans Christian Andersen a partire dall’originale in danese. L’articolo di Helene Johansen è dedicato alle parole-realiausate in un libro per bambini della scrittrice norvegese Maria Parr e tradotto in italiano. Il contributo di Pernille Thull mette a confronto la traduzione in norvegese di due romanzi italiani (di Andrea Camil- leri e di Simonetta Agnello Hornby rispettivamente). Tuttavia, il problema della traduzione viene affrontato secondo una prospettiva diversa in ogni studio pro-

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posto. L’articolo di Anne Flaen Anvik dimostra come l’espressione di alcuni atti linguistici convenzionali cambi a seconda della lingua riflettendo sulle differen- ze di carattere pragmatico-culturale tra le lingue: non basta sapere il significato della parola per usarla correttamente. L’articolo di Helene Johansen dedicato al- le parole-realiasi interroga sull’immagine di una realtà diversa creata attraverso le parole tipiche di una cultura ed inesistenti in un’altra, ossia su come tratta- re queste parole: mantenere e spiegare i fenomeni sconosciuti oppure sostituire e riformulare con espressioni più chiare, ma meno colorite? L’analisi di Pernille Thull descrive due atteggiamenti diversi nei confronti della presenza di un altro codice linguistico nel testo: le parole in dialetto siciliano usate nei due romanzi degli scrittori siciliani – Camilleri e Agnello Hornby – hanno funzioni diverse, così come diverse sono le strategie scelte nelle loro traduzioni per trasmettere questo rapporto con il dialetto in ciascuno di due scrittori.

L’articolo di Marit Viggen è dedicato al discorso politico in italiano e in norve- gese: l’analisi prende in considerazione le proprietà linguistiche, concentrandosi in particolare sul lessico usato dai due politici di cui sono stati analizzati i discorsi e su alcune strutture grammaticali in essi contenute. Come viene dimostrato, al- cune differenze sono imposte dalla struttura della lingua, altre dalle preferenze personali del parlante e del destinatario (ovvero del popolo nel caso dei discorsi presi in esame). Nello studio di Margrethe Førre Nardocci vengono descritte le parole e le combinazioni di parole al di fuori del testo. Quest’analisi permette di vedere il legame che esiste tra lingua e cultura, dimostrando come la cultura si rifletta e si codifichi nella lingua.

Il contributo di Elizaveta Khachaturyan offre invece un approccio diverso de- scrivendo i risultati di un esperimento condotto con due gruppi di apprendenti di italiano (L2) appartenenti a due madrelingue diverse (norvegese e russo). Questo studio è basato sull’ipotesi che gli strumenti linguistici a disposizione del parlante possano influenzare la costruzione del testo nel suo insieme.

Come vedremo, negli studi presentati nel volume l’analisi del testo costitui- sce il punto di partenza necessario per arrivare, attraverso un confronto detta- gliato, effettuato su vari livelli linguistici, a nuovi e stimolanti risultati nel campo contrastivo per le lingue italiana e norvegese.

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a u t h o r c o n ta c t i n f o r m at i o n Elizaveta Khachaturyan

Università di Oslo

elizaveta.khachaturyan@ilos.uio.no

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http://www.journals.uio.no/osla

emozioni in norvegese e in italiano:

analisi linguistica delle favole di h. c.

andersen

A N N E F L A E N A N V I K Università di Oslo

a b s t r a c t

How are emotions are expressed in Italian and in Norwegian? What are the reasons that cause people to consider Italian a more emotive language com- pared to the Germanic languages? To answer these questions, two transla- tions of Hans Christian Andersen’s fairy tales are analyzed: “The Emperor’s New Clothes” (Il vestito nuovo dell’Imperatore / Keiserens nye klær) and

“The Ugly Duckling” (Il brutto anitroccolo / Den stygge andungen). The anal- ysis focuses on interjections and verbs of speech. In the Italian translations, more interjections are used and the verbs of speech are more expressive (in particular, exclamare ‘to exclaim’). In the Norwegian translations, interjec- tions are rare, sometimes different constructions are used instead, and the verbs are often more neutral (in particular, å si ‘to say’).

i n t r o d u z i o n e

L’esperienza emotiva è stata da sempre oggetto di ricerca, studiata e approfon- dita dagli studiosi appartenenti ai vari rami della scienza, dalla fisiognomica alle teorie evoluzionistiche, dalla psicologia scientifica alla linguistica. In tempi più recenti la psicologia delle emozioni è stata oggetto di un gran numero di studi. Lo scopo del presente lavoro però non è di studiare le emozioni dal punto di vista psicologico, bensì dal punto di vista linguistico; cioè di scoprire i mezzi linguistici che abbiamo a nostra disposizione per parlare delle nostre emozioni.

La descrizione delle emozioni nelle favole rappresenta l’oggetto del presente lavoro.1Più precisamente, l’argomento dell’articolo verte sull’analisi linguistica di una traduzione italiana e di una traduzione norvegese delle due favole dello scrittore danese Hans Christian Andersen,Il vestito nuovo dell’Imperatore (Keiserens nye klær)eIl brutto anitroccolo (Den stygge andungen).

[1] Questo articolo prende spunto dalla mia tesiIl modo di esprimere le emozioni nelle favole di H. C. Andersen in italiano e in norvegese.

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Le favole in generale possono essere definite come racconti fantastici ideati per impartire un insegnamento morale. Nelle favole si possono riconoscere tipi umani ben definiti e i caratteri sono animati da sentimenti precisi e contrapposti come bontà e cattiveria, amore e odio, egoismo e altruismo ecc. Il mondo delle favole è nettamente diviso in buoni e cattivi, furbi e ingenui ed i personaggi, ca- ratterizzati in funzione del loro comportamento, ricoprono spesso ruoli fissi e stereotipati (Propp 1966). Quindi, nei vari caratteri raffigurati in “bianco e nero”

si possono identificare le emozioni fondamentali. Le favole si presentano dunque come rappresentazioni simboliche di un ampio spettro di emozioni e stati di ani- mo, emozioni fondamentali che sono uguali in tutte le lingue, ma che possono avere un’espressione diversa, in altre parole un campo ideale per uno studio sulle emozioni descritte attraverso mezzi linguistici.

L’oralità e l’emotività sono elementi costitutivi della testualità fiabesca e rap- presentano tratti caratteristici nelle favole di cui parleremo. La presente ricerca si propone di rispondere alle seguenti domande: In che modo l’emotività viene trasmessa? Quali sono le differenze imposte dalle divergenze formali tra le due lingue? Le emozioni possono essere espresse e descritte allo stesso modo nel te- sto tradotto oppure ci sono delle differenze culturali che impongono di adeguarsi a certe regole? Partendo dall’idea che le lingue germaniche sono tradizionalmen- te considerate meno espressive rispetto alle lingue romanze (cfr.Pavlenko 2006;

Wierzbicka 1997), cercheremo di capire se questa osservazione può essere con- fermata. Per trovare delle risposte, l’analisi si concentrerà sul discorso diretto e soprattutto sulle interiezioni, parole emotive tipiche della lingua parlata che si incontrano con una certa frequenza nelle favole. Inoltre, vedremo come alcuni degli introduttori del discorso possono riprodurre gli aspetti intonativi del parla- to, adoperati per dare informazioni sulla modalità enunciativa e per trasmettere l’atteggiamento assunto dal parlante. Va detto subito che lo spazio limitato non permette di approfondire l’uso e la funzione di tutti gli elementi espressivi ritrova- ti nelle due traduzioni. In seguito, paragonando le due versioni, ci concentreremo su alcune delle divergenze più evidenti.

L’articolo è strutturato nel seguente modo. Nel primo paragrafo daremo una piccola prospettiva teorica sulle emozioni e sul rapporto tra emozioni e cultu- ra. Nei paragrafi successivi analizzeremo le interiezioni e alcuni introduttori del discorso diretto, dettiverba dicendi.

[1] p r o s p e t t i va t e o r i c a

[1.1] L’espressione delle emozioni e il modo di comunicarle

Numerose sono le definizioni ed i modelli proposti per spiegare le emozioni, però, considerando l’obiettivo di questo lavoro, mi limiterò a definire le emozio- ni dal punto di vista comunicativo.Poggi & Caldognetto (2004)hanno studiato gli aspetti cognitivi, linguistici e fonetici del parlato emotivo in italiano. Nel lo-

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ro articolo (2004) viene esaminato con particolare attenzione l’atto comunicativo che esprime l’emozione provata. Secondo le studiose, il mittente può esprimere le emozioni che prova nel momento dell’enunciazione attraverso un repertorio di segnali molto ricco. Nel loro studioLa multimodalità della comunicazione in lingue e culture diverse,Poggi & Panero (2003)si concentrano proprio sulle varie modalità della comunicazione emotiva, definendo il concetto dimultimodalitànel modo se- guente: “si riferisce al fatto che la comunicazione, nell’interazione faccia a faccia, non utilizza solo la modalità sensoriale uditiva ma anche quella visiva, quella tat- tile, quella olfattiva” (2003: 2). Sia la comunicazione verbale ed i fattori prosodici che le espressioni del viso e gli sguardi, i movimenti del corpo ed i segnali prodot- ti con le mani costituiscono ciascuno a suo modo un sistema di comunicazione in cui tutte le espressioni o gesti sono portatori di una certa interpretazione. Il rice- vente della comunicazione a sua volta, o con l’udito o con la vista, percepisce ed interpreta i vari segnali comunicati. Poggi e Panero distinguono le varie modalità comunicative in cinque gruppi principali:

(i) Modalità verbale: le frasi e le parole che pronunciamo;

(ii) Modalità prosodico-intonativa: gli aspetti temporali del parlato, pause, lun- ghezza delle vocali, l’intensità e l’andamento melodico (intonazione) della nostra voce;

(iii) Modalità gestuale: i movimenti delle mani, delle braccia e delle spalle;

(iv) Modalità facciale; sguardi, riso e sorriso, espressioni del volto, movimenti del capo;

(v) Modalità corporea: posture, movimenti del corpo, collocazione e spostamen- ti nello spazio (2003: 2).

Dato che il presente lavoro non si occupa della comunicazione vocale o corpo- rea delle emozioni, l’attenzione sarà posta principalmente sulla modalità verbale, ossia sui mezzi linguistici che servono per descrivere le emozioni. Oltre a ciò, ver- rà presentata brevemente la modalità prosodico-intonativa. Vedremo più avanti come un commento dell’autore oppure i verbi che introducono o accompagnano il discorso diretto trasmettono le proprietà prosodico-intonative specificando in questo modo il significato dell’enunciato.

[1.2] Modalità verbale e prosodico-intonativa analizzate

Sia nel parlato che nello scritto, le risorse comunicative di cui disponiamo per esprimere una nostra opinione, il nostro atteggiamento o le nostre emozio- ni sono di varia natura. SecondoPoggi & Caldognetto (2004)esse possono essere

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divise in quattro gruppi diversi: (i) risorse lessicali; (ii) risorse sintattiche; (iii) ri- sorse morfologiche e (iv) risorse fonologiche. Nel presente contributo ci occupe- remo in primo luogo di alcune risorse lessicali usate per esprimere le emozioni nelle due traduzioni, ma come vedremo anche la struttura sintattica avrà un ruolo importante.

La prima delle categorie menzionate riguarda le parole emotive o illessico emo- tivo, definito in questo modo: “Conlessico emotivointendiamo tutte le parole di una lingua che contengono nella loro rappresentazione semantica un’informazio- ne su uno stato emotivo (emozione o sentimento)” (2004: 8). In altri termini, la nozione dilessico emotivosi riferisce alle voci lessicali che ogni lingua ha a sua di- sposizione per esprimere e per descrivere sentimenti ed affetti. Appartenenti a questo gruppo ci sono parole che fanno parte di varie classi grammaticali: nomi comegioia, sorpresa, paura; aggettivi comecontento, arrabbiato; avverbi cometriste- mente, entusiasticamente, davveroe infine verbi comeesclamare, gridare, vergognare.

Oltre a queste, anche le interiezioni, oggetto del presente studio, fanno parte del lessico emotivo. Esse costituiscono un gruppo di parole particolari in grado di vei- colare un intero atto comunicativo. Bisogna notare che spesso, nel processo comu- nicativo, più voci del lessico emotivo si combinano. Facciamo un esempio preso dalla favolaIl vestito nuovo dell’Imperatore: “Signore Iddio! Sentite la voce dell’innocen- za!” esclamò il padre(IVN, 82). In questo caso la frase esclamativa è introdotta da una locuzione interiettiva e seguita da un verbo espressivo che descrive il modo in cui viene pronunciata.

Nello scritto, per sostituire gli elementi intonativi del parlato, il narratore può servirsi di parole contenenti informazioni sul tono della voce (p.es.disse ad alta voce), sull’atteggiamento del parlante o sul modo in cui si svolge la comunicazione (p.es.gridare, esclamare).

Un’altra risorsa della comunicazione emotiva è la sintassi che in lingue carat- terizzate da un ordine delle parole relativamente libero, come è il caso dell’ita- liano, ha un ruolo particolarmente importante. Per comunicare una nuova cono- scenza, che implica un certo coinvolgimento emotivo, una possibilità è quella di invertire l’ordine delle parole e di servirsi di una costruzione sintattica emotiva (Poggi & Caldognetto 2004). Nella lingua italiana, meccanismi di topicalizzazione e focalizzazione come ad esempio la dislocazione a sinistra, servono per enfatizza- re la parte più nuova della frase e per far caprie all’altro quello che è importante.

SecondoPoggi & Caldognetto, “ogni costruzione enfatica (sia essa attuata con ri- sorse sintattiche o […], con risorse intonazionali) esprime la sorpresa del parlante e quindi richiede attenzione nell’ascoltatore” (2004: 11). In più, la frase esclama- tiva rappresenta uno strumento essenziale del parlato emotivo usata spesso nelle favole per trasmettere le emozioni dei personaggi. Come esempio possiamo cita- re un’esclamativa dalla favolaIl brutto anitroccolo:“Ah, ma nuotare, che delizia!”

(IBA, 191).

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[1.3] Emozioni e la cultura

L’influenza della cultura sull’espressione delle emozioni

Considerando l’ipotesi di partenza di questo articolo, secondo la quale la lin- gua italiana è più espressiva rispetto alle lingue germaniche, è opportuno mettere in luce il rapporto tra emozioni e cultura. Molti studi dimostrano che la cultura in- fluenza i nostri valori ed ideali, il nostro atteggiamento e il nostro modo di pensare (p.es.Pavlenko 2006,Wierzbicka 1997,1999)

[…] chi vive la cultura e parla la lingua, oltre che conoscere le ‘co- se’, condivide anche il modo di pensare, interpretare il mondo, di fare inferenze e predizioni, ecc.

(Bettoni 2006: 5) Per molti sistemi di comunicazione è evidente che le corrispondenze fra se- gnali e significati sono diverse da una cultura ad un’altra.Anolli (2002)parla delle specificità emotivedelle varie culture alludendo alle regole e alle norme specifiche di ogni società riguardanti il quando e il come provare e manifestare le proprie esperienze emotive (2002: 152). Egli afferma, ad esempio, che esistono grandi dif- ferenze culturali all’interno del mondo occidentale tra due paesi “vicini” come l’Inghilterra e la Polonia. Mentre nella cultura inglese è importante mantenere il controllo emozionale, nella cultura polacca vale la regola opposta, ossia “vige la norma di manifestare apertamente e spontaneamente le emozioni” (2002: 143).

Che l’espressione delle emozioni sia fortemente condizionata dalla cultura e dalla lingua di cui ci si serve è rivelato inoltre da uno studio fatto da AnetaPa- vlenko (2006). La sua attività di ricerca è focalizzata sulle persone bilingue e sul loro modo di esprimere più o meno diversamente le loro emozioni quando usano lingue differenti. I risultati trovati sono stati raccolti tramite un questionario sul web in cui era presente, tra le altre, la seguente domanda:Do you feel like a diffe- rent person sometimes when you use your different languages?A questa domanda, dalle 1039 persone bi- o multilingue partecipanti alla ricerca, la maggior parte rispon- de in modo affermativo. Per fare un esempio, una donna multilingue che parla greco, inglese, francese, italiano e cinese, risponde in questo modo alla domanda posta: “Yes because the use of a certain language demands that you act according to the behavioral norms of the corrisponding culture” (2006: 11). Un’altra rispo- sta interessante è data da una donna che parla inglese, francese, tedesco, italiano e islandese:

Yes when I am using Italian especially, I am more emotional and use my hands more. My husband has also commented that I adopt the Icelandic attitudes when I am using Icelandic especially when spea- king to officials. If you pick up the language from living in the country

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(a country) where it is spoken then you pick up the traits and habits of those people.

(2006: 12) Il lessico emotivo nelle diverse culture

Nell’introduzione del libroUnderstanding Cultures Through Their Key Words, An- naWierzbicka (1997)fa riferimento al celebre linguista Edward Sapir secondo cui

“language [is] a symbolic guide to culture” e “vocabulary is a very sensitive index of the culture of a people” (Sapir 1949: 162, 27). In tutte le lingue esistono paro- le che si collegano ai rituali sociali o ai concetti culturali tipici del paese, parole di cui manca il corrispondente nelle altre lingue. Allo stesso modo, ogni cultura ha elaborato il proprio lessico emotivo. Il fatto che gli eventi che provocano una certa emozione siano legati alla cultura, porta con sé una certa varietà lessica- le.Anolli (2002)fa riferimento a uno studio di Russell (1991) il cui proposito era quello di contare le parole emotive nelle varie culture. Lo studio ha rivelato che esistono notevoli differenze nell’estensione quantitativa dei singoli repertori lin- guistici. L’analisi va dal lessico emotivo inglese, che contiene oltre 2000 termini, alla lingua malese in cui sono state trovate solo 230 parole (citato daAnolli 2002:

127).Poggi & Caldognetto (2004)fanno riferimento a studi simili secondo cui il les- sico emotivo italiano, sulla base delle due dimensioni di valutazione e attivazione, conta rispettivamente 777 e 1000 parole (2004: 8). A tal proposito va aggiunto che non è stato trovato da noi nessuno studio che trattasse il repertorio delle parole emotive nella lingua norvegese. La varietà del lessico emotivo solleva inevitabil- mente problemi di traducibilità dei concetti e delle esperienze emotive da una cultura a un’altra. Nel libroEmotions across Languages and Culture, AnnaWierzbic- ka (1999)esamina il significato e le norme d’uso del lessico emotivo nelle diverse culture. Tra l’altro, Wierzbicka descrive la parola ingleseangeraffermando che in quella lingua una frase come “people may feel angry” o “some people feel angry at God for allowing them to get sick” funziona benissimo. Attraverso molti esempi, Wierzbicka dimostra che in polacco una frase così è impossibile, dicendo:

In fact, the Polish words closest to the English anger and angry are so different from them in meaning that it would be virtually impossi- ble to translate into Polish perfectly “normal” sentences in twentieth- century English […]. What this example shows is that an apparen- tly basic and innocent concept likeangeris in fact linked with a cer- tain cultural model and so cannot be taken for granted as a “culture- free” analytical tool or as a universal standard for describing “human emotions”.

(1999: 31–32)

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Anolli (2002)prende in esame la parola “emozione” stessa, affermando che neanche quella è universale. Secondo lo studioso, in molte culture tale parola è assente, come ad esempio presso i tahitiani e in alcune tribù della Nuova Gui- nea e della Micronesia, mentre nelle culture più avanzate non c’è una precisa corrispondenza per il concetto di emozione:

Il termine inglese ‘emotion’ non trova un corrispettivo nella lin- gua tedesca comune, dove esiste la parola ‘Gefühl’ per indicare i senti- menti a livello sia fisiologico sia psicologico (da “fühlen”, come equi- valente di “to feel”). In francese, italiano e spagnolo i termini “sen- timent/sentimento/sentimiento” indicano uno stato d’animo esclusi- vamente cognitivo, mentre l’inglese “feeling” rappresenta anche una condizione fisica.

(2002: 128) Nel libro diPavlenko (2006)è incluso uno studio interessante di Mary Bese- meres in cui la studiosa si occupa dei libri scritti da persone bilingue e delle loro esperienze emotive: “how emotional experience is inflected differently in diffe- rent languages” (2006: 34). Uno dei libri menzionati èAn Italian Educationdi Tim Parks (1995), uno scrittore inglese vissuto in Italia fin da quando era ventenne.

Parks è sposato con un’italiana e nel libro descrive la vita della sua famiglia e dei suoi figli “stranieri” dal punto di vista bi-linguistico e cross-culturale, concentran- dosi sul rapporto tra lingua ed emozioni e sul modo in cui le differenze culturali si riflettono nel vocabolario. Besemeres osserva che un tema ricorrente nel libro di Parks riguarda l’uso dei diminutivi nella lingua italiana (2006: 46-47). Attraverso molte descrizioni delle scene quotidiane, in particolare legate alla nascita e alla vita dei suoi figli, Parks sottolinea il divario tra le due culture. Per fare un esempio si può citare:

Within five minutes of its birth the child has already been smo- thered in diminutives, many invented:Sinfolina, cicciolina, ciccina…It must be one of the areas where Italian most excels: the cooing excited caress over the tiny creature,uccellina, tartarughina…

(1995: 51) Come nota Besemeres, Parks confronta il “modo italiano” con quello inglese paragonando la semantica delle parolespettacolo/spectacleed i due concettifare festa/to make a fuss of (2006: 44). Le raffigurazioni di Parks delle scene quotidiane evidenziano sia le differenze semantiche che quelle culturali tra questi due paesi.

Parks presta attenzione al terminespettacolo, una parola usata da una vicina ve- nuta per ammirare sua figlia appena nata: “A realspettacolo!” (1995: 72). Indubbia- mente, in questo contesto tale detto assume un valore molto positivo. L’espres- sione però fa ricordare all’autore le parole di sua madre: “Whereas my mother

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always used to say: ‘Tim, for heaven’s sake, don’t make a spectacle of yourself!’

Meaning, don’t draw attention to yourself. And meaning, little children should be seen and not heard, or better still neither seen nor heard” (1995: 73). Inoltre, Besemeres (2006: 44-45) cita un altro episodio divertente dallo stesso libro. In mo- do sia ironico che umoristico Parks raffigura una scena che illustra molto bene le differenze culturali tra la sua patria e l’Italia. Si tratta della visita a sorpresa dei genitori di sua moglie, descritta nel modo seguente:

It would truly be hard to exaggerate the cooing and crying and sighing and kissing and nose-tweaking and exclamations and tears and tickles and cuddle that now have to take place. The children mu- st imagine they are the only people in the whole universe. Nonna lifts up Michele and dances round and round with him and‘O che bel bam- bino! O che ometto splendido! O che spettacolo’[…]. It’s what the Italians enthusiastically callfare festa a qualcuno.

(1995: 105-106) È inutile dire che le descrizioni ed i casi riportati sopra rappresentano solo una piccola parte degli infiniti esempi relativi alle differenze culturali correlate all’espressione delle emozioni. Tuttavia essi mostrano che l’ambiente ed i siste- mi culturali regolano il nostro comportamento ed influenzano il nostro modo di manifestare le emozioni. Sembra chiaro che in ogni cultura vi siano dei termini emotivi caratteristici e che il grado d’emotività vari da lingua a lingua: “different levels of language emotionality” (Pavlenko 2006: 10). In una futura analisi sarebbe molto interessante discutere il legame tra le influenze culturali e le scelte lingui- stiche dei traduttori, ma nel presente lavoro questa domanda esula dal nostro argomento.

[1.4] Le traduzioni

Le favole scelte per la presente analisi sono state pubblicate in versione origi- nale rispettivamente nel 1837 (Keiserens nye Klæder) e nel 1844 (Den grimme Ælling) (Brøndsted 2013). Sia la lingua che la cultura danese sono molto vicine a quel- la norvegese e per molti anni i norvegesi erano capaci di leggere il danese. Per questo motivo, la prima traduzione integrale in norvegese,Samlede eventyr og hi- storier, viene pubblicata solo nel 1955. La traduzione è fatta da Odd Bang-Hansen, uno scrittore, giornalista e traduttore che ha ottenuto un premio di traduzione per questo suo lavoro (Rottem 1999). Nella prefazione, inclusa nell’edizione del 1985, Bang-Hansen spiega che l’unico motivo per cui ha tradotto le favole è per renderle accessibili alla nuova generazione, perché il patrimonio culturale non si perda. Per il traduttore è stato essenziale rispettare il testo d’origine: “Det er denne aller nødvendigste oversettelse jeg her har søkt å finne fram til, i håp om å

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gjøre stoffet tilgjengelig for barn igjen. […] Jeg har ønsket og forsøkt å bevare det meste av eventyrenes gamle, fine H.C. Andersen-bouquet, […]” (1985: 8).

La traduzione italiana delle stesse favole risale a molti anni prima. Già nel 1904 esce la raccoltaQuaranta novelle(Andersen 1904), tradotta in italiano da Ma- ria Pezzè Pascolato. Interessandosi di folklore e dedicandosi alle lingue straniere è divenuta famosa per le sue attività letterarie e traduttologiche, tra l’altro per la sua traduzione delle favole di Andersen (Caporale 2014). Questa traduzione è poi stata inclusa nell’edizione integraleAndersen Tutte le fiabe(2014), che è la versione scelta in questo lavoro, nonché la prima edizione completa in italiano (cfr. Intro- duzione2014). Come la traduzione norvegese, anche quella italiana è basata diret- tamente sul testo originaleEventyr og historierdi H.C. Andersen. Nell’introduzione Kirsten Bech, un’altra delle traduttrici dell’edizione integrale italiana, ribadisce che lo scopo dei traduttori è sempre stato quello di essere fedeli al testo fonte:

“Nelle fiabe tradotte sono state rigorosamente rispettate le scorrettezze gramma- ticali e le bizzarrie linguistiche del manoscritto di Andersen, così come ne è stata rispettata la punteggiatura” (2014: 14).

Come vediamo, le due traduzioni appartengono a due periodi storici distan- ti tra loro, distanza che ovviamente potrebbe aver influenzato lo stile e le scelte linguistiche dei traduttori. In Italia, sulla scia dell’ unificazione politica del paese si accentuava il processo di unificazione linguistica e alla fine dell’Ottocento na- sceva una vera e propria letteratura pedagogica per ragazzi (Ricci 2012). Le favole di Andersen sono state tradotte poco dopo, in un periodo in cui, secondo Trifone,

“si lamenta la distanza tra lingua scritta e lingua parlata” (2012: 34). Nonostante la traduzione di Pezzè Pascolato sia di quel periodo, essa è caratterizzata da una notevole prossimità con il parlato. La lingua scritta presenta caratteristiche pro- prie del parlato, come l’uso frequente delle interiezioni e della frase esclamativa.

Sebbene la traduzione norvegese sia stata fatta in un altro periodo storico, biso- gna notare che dal punto di vista stilistico le due traduzioni non sono così distanti tra di loro e per questo costituiscono un buon punto di partenza per il confronto linguistico dell’espressione delle emozioni nelle due lingue.

Nel proseguo dell’analisi le citazioni tratte dalle favole saranno nominate at- treverso l’utilizzo di sigle. Le abbreviazioni IVN e IBA si riferiscono alla versio- ne italiana delle favole, rispettivamenteIl vestito nuovo dell’Imperatore eIl brutto anitroccolo. Per fare riferimento ai testi norvegesi useremo le sigle KNK e DSA (Keiserens nye klæreDen stygge andungen).

[2] l e i n t e r i e z i o n i

Le interiezioni rappresentano parole in grado di esprimere una grande varie- tà di emozioni, sono caratterizzate dall’immediatezza comunicativa e sono tipi- che della lingua parlata (Poggi 1995). Ciò nonostante, nella linguistica moderna, rispetto alle altre categorie grammaticali, esse sono in generale considerate un

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fenomeno marginale e per questo sono poco studiate. In italiano però, esistono degli studi notevoli incentrati su tali elementi linguistici,in primisl’attività della linguista Isabella Poggi conLe interiezioni: studio del linguaggio e analisi della mente (1981) e il suo articoloLe interiezioniincluso nellaGrande Grammatica di consultazio- ne(Renzi, Salvi & Cardinaletti 1995). Inoltre, nelle grammatiche diSerianni (1988) e diDardano & Trifone (1997), alle interiezioni è assegnato un capitolo abbastanza approfondito.

A differenza dell’italiano, nella lingua norvegese alle interiezioni è data poca attenzione, come affermato dai tre studiosi norvegesiJemterud (1980: 46), Fre- theim (1981: 67) eAskedal (1983: 201). Il perché di questa trascuratezza negli stu- di norvegesi di linguistica è spiegato da Jemterud, che rivela come le interiezioni secondo l’opinione generalizzata, non appartengano alla parte centrale del siste- ma linguistico norvegese (1980: 46). A parte gli articoli di Jemterud, Fretheim e Askedal, tutti scritti negli anni Ottanta, sembrerebbe che non ci siano altri studi dedicati alle interiezioni in norvegese. Esistono però grammatiche in cui troviamo alcune definizioni e descrizioni della natura dell’interiezione. L’esempio più im- portante potrebbe essere laNorsk referansegrammatikk(Faarlund, Lie & Vannebo 1997), che è senza dubbio una delle più autorevoli tra le grammatiche norvegesi più moderne. Esiste inoltre, lo studio del linguista norvegese J.Svennevig (2001), che ha come oggetto gli avverbi di negazione e affermazione, cioè una categoria di parole generalmente considerata appartenente alle interiezioni.

[2.1] Definizione e caratteristiche delle interiezioni

Nonostante non esista una definizione univoca di interiezione, sembra che sia possibile stabilirne alcune caratteristiche generali, riconosciute dai linguisti più notevoli.Poggi (1981: 13-20) fa riferimento tra l’altro agli studi di Deborah James (1974,The Syntax and Semantics of Some English Interjections) e all’articolo di Giovan- ni Nencioni (1977,Le interiezioni nel dialogo teatrale di Pirandello) sottolineando le di- vergenze ma anche i punti in comune tra le teorie dei due studiosi. Nella prefazio- ne del suo libro, Poggi fa una somma dei tratti principali e della teoria universale delle interiezioni. Questi tratti possono essere applicati anche al norvegese:

Le particolarità delle interiezioni su cui tutta la letteratura, in mo- do più o meno lucido, pone l’accento, sono il loro carattere emotivo e la dipendenza dal contesto. […] Se prendiamo in considerazione le nove categorie della grammatica tradizionale, le cosiddette “parti del discorso”, le interiezioni sono l’unico tipo di voce che sia portatrice di un intero atto linguistico

(1981: 8).

In precedenza si è detto che le interiezioni fanno parte del lessico emotivo:

una risorsa comunicativa chiamata modalità verbale. L’interiezione è considerata

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uno strumento per esprimere un’emozione, per trasmettere uno stato emotivo del parlante. Anche i grammatici Dardano e Trifone ne evidenziano la capacità di comunicare in modo diretto un sentimento o una sensazione: “L’interiezione [...] è una parola invariabile che serve a esprimere una reazione improvvisa dell’animo:

gioia, dolore, sdegno, sorpresa, paura, minaccia, disappunto, rabbia, impazienza, incoraggiamento, disprezzo ecc.” (1997: 379).

Un altro tratto particolare delle interiezioni, secondo Poggi, è il ruolo del con- testo necessario per stabilire il loro significato preciso. Per contesto in questo caso si intende l’insieme dei fattori extralinguistici che modificano gli atti linguistici.

Un gruppo particolare di interiezioni, definite dai vari studiosi interiezioni pro- prie (Dardano & Trifone 1997), primarie (Serianni 1988) o univoche (Poggi 1995), rappresenta un caso a parte a causa della natura “polisemica” delle stesse. Vale a dire che tali interiezioni non hanno un significato fisso ma assumono significati variabili a seconda della situazione in cui vengono usate e dell’intensità e del tono della voce con cui vengono pronunciate.

Inoltre, le interiezioni si distinguono dalle altre parti del discorso perché, co- me dice Poggi, “sono l’unico tipo di categoria lessicale che trasmette il significato di un’intera frase” (1995: 403). Così l’interiezione non ha nessun legame sintattico con la proposizione in cui si trova, costituendo di per sé una frase. Poggi utilizza la denominazione “parola frase” (1981: 22 e1995: 403) parlando della loro natu- ra olofrastica, ossia della loro proprietà di costituire autonomamente un intero atto linguistico. Tramite vari esempi Poggi dimostra come un’interiezione può sostituire un’intera frase:

toh!= “ti informo che questo fatto mi provoca una lieve emozione di sorpresa”

ehi!= “ti chiedo di prestarmi attenzione”

magari!= “mi auguro che questo avvenga”

beh?= “ti domando di spiegarmi perché hai detto/fatto questo”

(1995: 404) Oltre alle caratteristiche menzionate, Poggi cita un altro tratto importante delle interiezioni, il loro carattere orale e colloquiale: “Le interiezioni si usano prevalentemente nel linguaggio parlato informale” (1995: 410) . Dardano e Trifone puntano sul loro impiego nel discorso e sulle molteplici funzioni che esse svolgono nella conversazione:

Proprio la particolare duttilità e il riferimento al contesto consen- tono alle interiezioni di svolgere un ruolo attivo nella costruzione del discorso. C’è insomma un duplice valore delle interiezioni, che sono insieme un potente mezzo di espressività e un elemento di organizza- zione delle frasi.

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(1997: 384) Per quel che concerne la punteggiatura, nella lingua scritta si usa spesso il punto esclamativo per riprodurre il tono enfatico caratteristico delle interiezioni (Dardano & Trifone 1997,Patota 2003). In altri casi, come nota Serianni, il punto interrogativo serve per rendere chiaro il significato dell’interiezione, usato per indicare meraviglia, perplessità, incredulità (oh, davvero?) oppure per sottolinea- re la funzione fatica del termine assunta in un determinato contesto (sì?, come?) (1988: 367). A causa della loro capacità di esprimere e di veicolare delle sfumatu- re di stati d’animo, le interiezioni sono parole tipiche dello scritto che riproduce la lingua parlata. Per riprodurre gli aspetti prosodici che caratterizzano l’interie- zione, nello scritto, insieme alla punteggiatura, vengono spesso utilizzati iverba dicendiche accompagnano il discorso diretto o un commento inserito dall’autore (p. es.disse ad alta voce, esclamarono tutti).

[2.2] La classificazione delle interiezioni

Dal punto di vista morfologico, le interiezioni possono essere divise in vari gruppi. Nel presente lavoro abbiamo deciso di basarci sulla classificazione propo- sta daDardano & Trifone (1997)e usata anche in lavori più recenti come quello diCignetti (2010). Gli autori della grammatica distinguono le interiezioni in tre gruppi: (i) le interiezioni proprie che hanno solamente la funzione d’interiezio- ne (ah!, eh!, mah!, ahimè!ecc.); (ii) le interiezioni improprie che sono parole usate con funzione d’interiezione, ma che fanno parte di altre parti del discorso come ad esempio sostantivi, avverbi, aggettivi, verbi (peccato!, bene!, giusto!, dai!ecc.);

(iii) le locuzioni interiettive o esclamative, formate da gruppi di parole o da una proposizione comeDio mio!, povero me!, santo cieloe simili (1997: 380–381). Poggi usa dei termini diversi chiamandole rispettivamente interiezione “univoca quan- do una sequenza fonica unitaria ha nel lessico solo un’interpretazione olofrastica”

o interiezione “plurivoca quando una sequenza fonica, oltre ad avere interpre- tazioni olofrastiche, appartiene anche al lessico del linguaggio articolato” (1995:

411).Faarlund, Lie & Vannebonon propongono nessuna classificazione delle inte- riezioni norvegesi. Similmente aPoggi (1995), però, puntano sulla loro funzione emotiva, pragmatica o imitativa affermando che esse normalmente hanno una o più di queste funzioni (1997: 967).

Pur usando dei termini diversi, i vari studiosi concordano sul fatto che le in- teriezioni non rappresentano un gruppo di parole omogeneo ma possono essere categorizzate a seconda della loro forma, delle loro proprietà semantiche e delle funzioni pragmatiche. In più, va notata la ricca varietà d’interiezioni della lingua italiana rispetto alle lingue nordiche. In particolare, per quanto riguarda le inte- riezioni proprie (definite univoche da Poggi) sembra che nella lingua norvegese ce ne siano poche rispetto a quelle italiane. È interessante vedere che mentre Pog-

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gi propone una lista delle interiezioni univoche costituita da una cinquantina di combinazioni, come ad esempioah, ahi, ahia, ahio, beh, boh, mah, mhm, oh, óh, óoh, tohecc., nelle grammatiche norvegesi ne viene elencato solo uno scarso numero (cfr.Poggi 1995: 416–418,Faarlund, Lie & Vannebo 1997: 967–972,Vinje 2005: 179–

180). Per fare un esempio, secondo Poggi le interiezioni univoche per esprimere sorpresa sono: “ah, caspita, caspiterina, diamine, ih(meridionale),oh , öh, sorbole(reg.

emiliano),toh, uh” (1995: 417). Nella grammatica di Vinje, invece, le interiezioni proprie elencate per esprimereforundringeoverraskelsesonoå, oi, oops, wow, åh?

(2005: 180). In base a queste osservazioni è lecito chiedersi se le interiezioni sia- no più usate nella lingua parlata italiana che nelle lingue nordiche. Quello che è sicuro, come vedremo nell’analisi seguente, è che spesso le esclamative italiane si aprono con un’interiezione propria, mentre in norvegese c’è un’altra parola d’apertura.

Seguendo la classificazione diDardano & Trifone (1997), le interiezioni nelle due favoleIl vestito nuovo dell’ImperatoreeIl brutto anitroccolopossono essere di- stinte in tre categorie diverse: (i) interiezioni proprie; (ii) interiezioni improprie e (iii) locuzioni interiettive o esclamative. In questo lavoro ci si occuperà soprattut- to delle interiezioni proprie, perché, come vedremo, esistono delle divergenze tra le due traduzioni. Per quel che riguarda le altre categorie, invece, le due versioni sono più in sintonia.

In seguito discuteremo la funzione e il significato delle interiezioniah, ohe ahimè. Nelle sezioni che seguono il punto di partenza sarà il testo italiano. Dopo una presentazione degli esempi italiani considereremo la traduzione norvegese confrontando le due versioni.

Come abbiamo detto, sia la traduzione norvegese che quella italiana si basano direttamente sul testo originale di Andersen. Sebbene non sia nostro obiettivo studiare la versione danese originale, è tuttavia interessante vedere se la versione norvegese corrisponde all’originale. Per questo, insieme alle citazioni norvegesi vengono riportate le frasi corrispondenti prese rispettivamente daKeiserens nye Klæder(1837) e daDen grimme Ælling(1844).

[3] a n a l i s i d e l l e i n t e r i e z i o n i p r o p r i e [3.1] L’interiezioneahed i suoi equivalenti norvegesi

Ahrappresenta un’interiezione in grado di esprimere una grande varietà di sensazioni. Serianni nota che mentre le interiezioni secondarie sono legate stret- tamente ad una cultura e ad una lingua, le interiezioni primarie come ad es.ah, hanno un carattere più universale (1988: 368). Secondo Dardano e Trifone, “ah!

può esprimere dolore (ah, che terribile notizia), ira o sdegno (ah, traditore! così ripa- ghi la fiducia che ti ho dato!), meraviglia o sorpresa (ah, sei tu!)” (1997: 380) . Poggi suggerisce che l’interiezione ah si usa soprattutto per confermare un’informazio- ne già acquisita: “Dicendoahil parlante comunica che, venendo a sapere qualco-

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sa, sta prendendo atto di questa conoscenza” (1995: 419). A seconda dell’intensi- tà e del tono della voce (tono alto, basso, discendente ecc.), Poggi descrive delle sfumature semantiche diverse dell’uso diah: il parlante può comunicare rispet- tivamente mancanza di aspettativa, aspettativa soddisfatta, aspettativa violata, aspettativa riconfermata (1995: 420). Nello scritto, nella maggior parte dei casi, la prosodia non è specificata e per questo tali aspetti non possono essere presi in con- siderazione. Quindi, il contesto è essenziale per stabilire le sfumature semantiche dell’interiezione.

Nelle due favole scelte per il presente studioahappare tre volte. I vari esempi illustrano delle differenze per quanto riguarda i suoi valori: nel primo esempio (1) serve per esprimere meraviglia o stupore, nel secondo (2) esprime nostalgia, nel terzo (3) riflette l’impazienza del parlante:

(1) a. “Ah, questi sì, sarebbero vestiti magnifici!”, pensò l’Imperatore (IVN, 78) b. “Det var da noen herlige klær,” tenkte keiseren. (KNK, 97)

c. “Det var da nogle deilige Klæder,” tænkte Keiseren (1837)

Come abbiamo già menzionato, l’interiezioneahsi usa soprattutto per assu- mere una nuova conoscenza: il “venire a sapere” (Poggi 1995: 429). Nell’esempio (1), questo “venire a sapere” provoca un sentimento improvviso di sorpresa, gioia ed esaltazione del parlante. Dopo aver sentito i due bricconi raccontare “di saper tessere la più bella stoffa che si potesse vedere al mondo” (IVN, 78), l’Imperato- re rivela il suo forte interesse. Questa nuova informazione evoca l’entusiasmo da parte del parlante.

Come vediamo, nella traduzione norvegese l’interiezione non c’è. Non c‘è nean- che nella versione originale in danese. Viene usato invece il pronomedet, che in questo caso in funzione di soggetto si riferisce al predicato “noen merkelige klær”

(vediFaarlund, Lie & Vannebo 1997: 317). Inoltre, nella frase appare l’avverbioda, nominato “modalpartikkel” dagli stessi grammatici, i quali sottolineano che le pa- role chiamate modali,nå/no, da, jo, nok, vel, visst, sono parole tipiche della lingua parlata norvegese (1997: 824). Si tratta delle parole attraverso le quali il locuto- re potrebbe comunicare un tipo d’atteggiamento o aspettativa. A proposito della parolada, atona e in posizione media della frase, gli autori affermano che la sua funzione è di rafforzare e di sottolineare l’opinione del parlante (1997: 824). A causa della loro natura orale e polisemica, come vedremo, le cosiddette particelle modali norvegesi (“modalpartikkel”) s’incontrano spesso negli enunciati dei per- sonaggi delle favole. Nell’esempio riportato sopra, la paroladamette in evidenza lo stupore fortemente sentito dall’Imperatore. La frase ha il tono quasi interro- gativo, come se il personaggio volesse domandare se fosse vero quello che aveva sentito.

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